- 21/12/2021
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A partire dal 1° gennaio 2022, entreranno in vigore nuovi limiti ai pagamenti in contanti. Con l’anno nuovo, infatti, la soglia dei pagamenti tramite banconote scenderà da €1.999,99 a €999,99.
Il nuovo limite è previsto per qualsiasi tipo di pagamento: acquisti di beni, prestazioni di lavoro, donazioni, prestiti, etc. Pertanto, qualunque cifra pari o superiore a 1.000 euro dovrà essere giustificata ed effettuata tramite pagamento tracciabile. Non è invece previsto alcun limite per prelievi e versamenti.
Di fronte a queste nuove strette al contante, si fa sempre più pressante la necessità di soluzioni digitali che possano soddisfare i bisogni di consumatori e imprese (e non far arrabbiare il Governo).
A tal proposito, l’universo del fintech vanta una costellazione di innovazioni tecnologiche capaci di garantire una completa digitalizzazione dei pagamenti. Prima di capire come la “financial technology” sarà in grado di rivoluzionare i pagamenti, vediamo qual è la situazione del contante in Italia e perché le nuove strette alle banconote imposte dal Governo non sono una manovra “liberticida”, ma piuttosto un intervento degno di un’economia avanzata.
La regina del contante
Un altro primato che può “vantare” il Belpaese è quello di essere una delle economie al mondo più dipendenti dai pagamenti in contanti.
Secondo uno studio effettuato da The European House - Ambrosetti sul peso del contante dello Stivale, l’Italia si colloca al 33° posto nella classifica delle 35 peggiori economie del mondo nel “Cash Intensity Index”. Il Cash Intensity Index è una metrica utilizzata per misurare l’incidenza del contante sul Prodotto Interno Lordo di 85 Paesi del mondo. In questa speciale classifica, l’Italia fa gomito a gomito con Paesi come Guatemala, Burundi e Azerbaijan.
Il covid sembra comunque aver accelerato la digitalizzazione dei pagamenti anche nel BelPaese. Nel 2020, infatti, nonostante una riduzione dei consumi registrata pari al 7,6%, il valore del transato “cashless” si è ridotto solo dell’1,4%, dimostrando che i pagamenti tramite dispositivi digitali siano maggiormente resilienti rispetto alla cartamoneta. Inoltre, il peso del transato cashless sul Prodotto Interno Lordo italiano nel 2020 ha raggiunto la soglia del 12,7%.
Nonostante questi dati positivi relativi all’anno dello scoppio della pandemia, l’Italia rimane ancora lontana rispetto ai partner europei. Sempre relativamente al rapporto transato cashless/PIL, l’Italia è parecchio lontana dal Paese più virtuoso nei pagamenti digitali, ovvero il Portogallo. I lusitani, infatti, presentano un peso delle transazioni digitali sul PIL nazionale pari al 40%. L’Italia, invece, si colloca al terzultimo posto in Europa per numero di transazioni pro-capite con carta (peggio di noi soltanto Romania e Bulgaria), nonostante sia terza in Europa per numero di POS (dopo la Grecia e l’Irlanda). Il podio è invece occupato da Danimarca, Regno Unito e Svezia, che guidano dunque la classifica dei Paesi europei per transazioni digitali pro-capite.
L’Italia è, inoltre, il primo Paese in Europa per aumento dei prelievi di contante da ATM dal 2008. Rispetto a quell’anno, infatti, il valore del contante prelevato è aumentato del 106,3%, un abisso rispetto all’aumento registrato dal secondo Paese per incremento tra i Paesi “Big-5” (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), ovvero la Francia, che registra un incremento pari al 24,2%.
Qual è il problema di una massa così elevata di contante in circolazione? L’economia non osservata, ovvero l’insieme delle attività economiche di mercato che sfuggono alle statistiche ufficiali. L’economia sommersa è essenzialmente costituita dalle transazioni non dichiarate al Fisco e quelle illegali. Secondo l’Istat, l’economia sommersa è costituita principalmente dal “valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) oppure generato mediante l’utilizzo di input di lavoro irregolare”.
Se vogliamo adesso avere uno sguardo globale sulla situazione dei pagamenti digitali, secondo il report “Prime Time for Real-Time” pubblicato da ACI Worldwide, i Paesi più virtuosi al mondo per pagamenti digitali in real-time sarebbero, nell’ordine, India, Cina, Corea del Sud, Thailandia e Regno Unito.
Contante, ma quanto mi costi?
Pagare in contanti ha un costo, non solo per lo Stato, ma anche per le imprese e i consumatori. Per questo motivo, l’adozione di soluzioni digitali rappresenterebbe un beneficio economico per tutti gli attori coinvolti. Ma vediamo quali sono e a quanto ammontano i costi di utilizzo del contante.
Il costo del contante per i consumatori
I costi di utilizzo del contante per i consumatori riguardano principalmente commissioni bancarie, tempi di attesa, furti e rapine.
Il prelievo di banconote presso ATM, infatti, non è sempre gratuito, e per evitare di incorrere in commissioni il consumatore è obbligato a raggiungere gli ATM della banca di cui è cliente, con un tempo speso (tra tragitto e tempi di attesa allo sportello) pari in media a 6.4 ore l’anno, secondo quanto riportato dal Rapporto 2018 della Cashless Society.
Sempre secondo la ricerca, eseguire bonifici per cassa e pagare le imposte recandosi alla filiale bancaria ruba in media ai consumatori 7.3 ore l’anno, mentre il pagamento di bollette e imposte senza l’aiuto dei mezzi digitali equivale a 12 ore di tempo speso ogni anno.
Infine, il 19,4% dei consumatori ha dichiarato che almeno una persona in famiglia ha subìto furti o rapine di denaro contante.
Il costo del contante per le imprese
Il costo complessivo legato alla gestione del contante sostenuto dalle imprese è pari al 2% dei ricavi mensili. Dall’altro lato, la spesa media di un pagamento con carta di credito è pari all’1,95%, mentre per quanto concerne le carte di debito (più diffuse in Italia rispetto a quelle di credito) la spesa media è pari all’1,07% dei ricavi mensili.
Per ultimo, il costo legato alle banconote contraffatte, nel 2020 la Banca Centrale Europea ha ritirato dalla circolazione 460.000 banconote contraffatte.
Risulta dunque paradossale che le imprese e i commercianti preferiscano i pagamenti in contanti rispetto al digitale, dato che, semplicemente, la prima soluzione costa di più.
Il costo del contante per lo Stato
Il principale costo sostenuto dallo Stato per l’utilizzo massiccio dei contanti da parte dei cittadini è principalmente legato, come abbiamo già visto, al fenomeno dell’economia sommersa causato dalla difficile tracciabilità dei pagamenti in contanti.
Un dato preoccupante è quello relativo all’evasione dell’IVA, il cosiddetto “VAT gap”: secondo la Commissione Europea, nel 2018 l’Italia era il primo Paese in Europa per evasione dell’IVA, pari a 35,4 miliardi di Euro di evasione fiscale, il 25% del totale dell’IVA evasa dai 27+1 Paesi dell’Unione Europea.
Infine, menzioniamo il costo di produzione delle banconote. Secondo uno studio della Banca d’Italia, nel 2012 il costo di produzione di denaro contante era pari a circa 8 miliardi di euro, ovvero lo 0,52% del PIL.
Conclusione
Concludiamo la nostra analisi della situazione non troppo incoraggiante dei pagamenti digitali in Italia con un marcato endorsement alle innovazioni fintech.
Da Satispay a viacash, da Xoom a Wise, sono molteplici le aziende del comparto fintech capaci di offrire soluzioni innovative per pagamenti e trasferimenti di denaro 100% digitalizzati, sicuri, semplici ed efficaci.
Dati gli elevati ed evidenti costi generati dall’utilizzo del denaro contante, che gravano su tutti gli attori economici coinvolti in una transazione, appare sempre più chiaro come l’innovazione tecnologica prodotta dal fintech all’interno del verticale pagamenti rappresenti un punto di incontro tra i bisogni di cittadini, imprese e istituzioni.
Una chance di ammodernamento del Sistema Paese che l’Italia, per poter continuare a misurarsi con le economie più avanzate al mondo, non dovrà lasciarsi scappare.