Studio Pagamenti 2023: attenti alla cassa

Studio Pagamenti 2023 attenti alla cassa

Fare attenzione alla cassa. Questa è la parola d’ordine emersa nella XIX edizione dello Studio Pagamenti 2023. L’evento, organizzato da Cribis in collaborazione con il Corriere della Sera e Dun & Bradsheet, ha illustrato lo stato del Credit Management, la gestione del credito per le imprese italiane.

Lo scenario economico: nuvole all’orizzonte

A giustificare un aumento della cautela sono le mutate condizioni macroeconomiche. Rispetto all’edizione precedente, la fotografia scattata dallo Studio mostra uno scenario perturbato: aumenta l’inflazione, che spinge a una contrazione dei consumi; sofferenza di alcune imprese e conseguenti ritardi nei pagamenti.

Per l’anno in corso si preannuncia un’inversione di tendenza rispetto alla crescita del 3,7 percento del Pil registrata nel 2022. Il rimbalzo post covid sembra lasciare spazio a una situazione in peggioramento, le cui cause sono molteplici: dal protrarsi dello scenario bellico, con tutte le incertezze che comporta, alle tensioni sulle materie prime. Le previsioni per il 2023 portano a interrogarsi se ciò che ci attende sia un periodo di crisi o se si tratti solo di una fase passeggera.

Dare uno sguardo alla situazione dei pagamenti è importante, perché permette di capire quali sfide attendono le nostre imprese e come potranno prepararsi per affrontarle. Di qui il monito sull’attenzione alla situazione di cassa: con l’aumento dei ritardi nei pagamenti, le imprese devono fare attenzione a non trovarsi senza liquidità per operare.

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Uno sguardo ai dati: pagamenti puntuali e in ritardo

Nel nostro Paese i pagamenti sono una questione delicata, come lo conferma il confronto con i dati internazionali. Ultima tra le economie europee maggiori, l’Italia non brilla per la puntualità dei pagamenti. Nell’ultimo trimestre del 2022, solo il 41 percento delle transazioni sono state effettuate alla scadenza. Peggio di noi Irlanda e Paesi Balcanici, con Romania e Bulgaria che non arrivano al venti percento. Prima per puntualità è la Danimarca, al 92 percento.

Il confronto con il 63 percento della Germania, scelta per analogia del sistema produttivo, è impietoso quanto importante. Quasi 22 punti di distacco che si traducono in maggiori difficoltà per le nostre imprese. Tanto in termini di complessità organizzativa che di handicap competitivo: per un’impresa italiana, la vendita non è la fase conclusiva del rapporto economico e la gestione del credito richiede maggiori risorse rispetto al caso tedesco. Tutto questo si traduce in una minore competitività, con fondi che, ottenuti in ritardo, allungano a loro volta i tempi di acquisto e investimento.

La quota dei pagamenti puntuali è rimasta sostanzialmente stabile negli anni, segno che questa è una consuetudine commerciale indipendente dalla congiuntura. Per fare un paragone, il dato cinese al 56 percento, sostanzialmente allineato a quello statunitense, è raddoppiato in un solo anno.

Le abitudini di pagamento italiane sono ampiamente orientate verso un ritardo mensile. Fatto cento il totale dei pagamenti, quasi la metà avviene entro trenta giorni dalla scadenza. un ritardo che la consuetudine spinge a catalogare come non grave e gestibile. Un altro, 9,5 percento supera il mese di ritardo.

Una distinzione per area geografica aiuta a comprendere meglio la situazione. Nord Est e Nord Ovest sono le zone più virtuose: i pagamenti puntuali superano il 47 percento, e i ritardi gravi sono meno del 7 percento. Nel Sud e le Isole fare impresa è più difficile, visto che meno di un terzo è pagata in tempo e i ritardi gravi sono sopra il 15 percento. Il Centro rivela una situazione intermedia tra i due estremi.

Ritardi gravi nei pagamenti: trend e settori

Se ci si concentra sull’andamento negli anni, il dato sui ritardi gravi può essere interpretato come un indice dello stato di salute dell’economia. I pagamenti oltre i trenta giorni avevano toccato un valore massimo del 17 percento in occasione della crisi del 2009. Da qui, un primo trend di discesa li ha ridotti fino al 10,5% nell’ultimo trimestre del 2019. L’aumento del dato, in occasione della pandemia di Covid è stato tutto sommato contenuto, grazie anche ad accordi di filiera, con un valore del 12,8 percento. La ripresa economica nel biennio 2021-2022 ha portato ad una ulteriore riduzione, fino a un minimo del 9,1 percento a fine 2022.

Il 9,5 del primo trimestre del 2023 è il dato da valutare con attenzione, perché lascia intuire un cambio di tendenza in atto. Come già detto d’altronde, il contesto non è favorevole, con le spinte inflattive all’8 percento dell’anno scorso solo attenuate che, generate dai costi energetici, colpiscono direttamente i consumi delle famiglie, col risultato di un carrello della spesa che si alleggerisce.

A patire maggiormente di questo peggioramento sono le cartiere, con un aumento che sfiora il 16 percento nei ritardi gravi nell’ultimo trimestre; i servizi alla persona, aumentati quasi del 10 percento; e i trasporti, a più 8,2 percento.

Se si allarga l’orizzonte temporale si possono comprendere i miglioramenti per i settori più colpiti durante la pandemia: tra il primo trimestre 2021 e quello del 2023, ristoranti e bar e il comparto dell’ospitalità hanno ripreso le loro attività, trainati anche dal ritorno del turismo straniero. Questo si è tradotto in una riduzione del 44 percento dei pagamenti ritardati di oltre trenta giorni.

Tempi medi di pagamento per settore

L’industria ritarda più dei servizi. Fatta una media tra i pagamenti puntuali e i diversi tipi di ritardo, si possono confrontare tra loro le condizioni dei diversi settori. I tempi medi di pagamento forniscono una distinzione piuttosto netta.

Con quasi tre mesi di attesa, la ceramica è il settore dove le imprese devono attendere di più per vedere liquidati i loro crediti. Ancora industria anche nelle posizioni successive, con quella della produzione di macchinari, attrezzature elettriche ed elettroniche e quella siderurgica sopra gli 80 giorni di ritardo. Installatori, servizi alle imprese, costruzioni, industria chimica e della gomma, tessili e abbigliamento sono tra i settori dove non si riescono a ottenere le somme dovute prima di due mesi.

Dall’altro lato della classifica, il B2C ha tempi più rapidi, con i servizi per le persone che segnano 42 giorni di tempo medio di pagamento. Servizi di ospitalità, trasporti, ristoranti e bar, locazioni immobiliari, oltre al settore agricolo e al commercio all’ingrosso sono tutti settori in cui il tempo di pagamento è inferiore ai due mesi.

Una spiegazione di questa differenza può essere data dal diverso importo delle forniture, più ingente per l’industria, più moderato per i servizi.

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Pagamenti della PA: in linea con le imprese

Il sentimento comune vuole una Pubblica Amministrazione cattivo pagatore. Anche se non riescono a smentire del tutto questa impressione, i dati permettono di trarre qualche considerazione. Innanzitutto, i pagamenti effettuati alla scadenza sono sì inferiori alla media nazionale, ma non di molto: con un 38,3 percento rispetto al 41 globale, non sono molto dissimili. Il dato risulta poi più interessante se si considera la sua evoluzione: dal 23,2 percento di fine 2018 al 38,3 percento del primo trimestre del 2023. Segnale che la Pubblica Amministrazione nel suo complesso si è adoperata per andare incontro alle esigenze delle imprese.

Vanno poi osservate le differenze all’interno della stessa PA. Lo Studio Pagamenti 2023 di Cribis distingue tra ASL e Sanità, Enti Territoriali e Altre categorie. Di questi tre, la Sanità è il pagatore peggiore, con oltre il 72 percento dei pagamenti in leggero ritardo e quasi il 278 percento in ritardo grave. Il fatto che questa sia anche la principale voce di spesa contribuisce a peggiorare la performance della Pubblica Amministrazione.

Gli Enti Territoriali si dimostrano più virtuosi, anche per la maggiore vicinanza alle imprese: quasi il 29 percento dei pagamenti è eseguito in tempo, e poco meno di uno su cinque è in ritardo grave.

Non mancano casi di buona gestione, con quasi il 50 percento dei pagamenti entro le scadenze per le Altre categorie.

Anche per i rapporti economici con la Pubblica Amministrazione è interessante osservare la media dei tempi di pagamento. Il dato aggregato indica una media di 69 giorni per un pagamento; valore che sale a 91 per Asl e Sanità e che rimane attorno a 47 per Enti Territoriali e Altre categorie.

Scenario e sfide per le PMI

Quello raccontato dallo Studio Pagamenti 2023 è uno scenario di accresciuta difficoltà per le imprese. L’inflazione, tema principale della presentazione, ha un effetto combinato su queste: da un lato contribuisce alla crescita del fatturato; dall’altro può avere un impatto negativo sui margini. A questa si aggiunge l’incertezza della crisi internazionale, che ha reso più complessi gli approvvigionamenti energetici e chiuso il mercato russo al nostro export e la stretta monetaria, adottata dalle banche centrali come contrasto alla crescita dei prezzi, che ha contribuito a rendere più oneroso il costo del denaro.

In sintesi, l’eventualità paventata è quella di una riduzione del credito alle imprese: minori disponibilità di prestiti significherebbero maggiore importanza della liquidità di cassa, quindi dell’equilibrio tra pagamenti in dare e avere.

Questo spinge a una maggiore importanza del ricorso al factoring, la cessione dei crediti commerciali a un istituto di credito in cambio di un anticipo di minore importo. Questa soluzione è percorribile per il ciclo attivo, nel quale l’impresa agisce da venditrice di prodotti o servizi e vanta un credito verso i clienti.

Per quanto riguarda il ciclo passivo, in cui l’impresa acquista beni e servizi utili alla sua attività, lo strumento utile è quello del supply chain finance, o reverse factoring, in cui i fornitori di maggiori dimensioni lungo la catena del valore favoriscono gli acquisti delle imprese garantendo il loro finanziamento presso banche e fintech.

Per le PMI italiane si prospettano importanti sfide quali, la capacità di affrontare la volatilità e di portare i propri prodotti e servizi verso nuovi mercati esteri. Per continuare a crescere, le imprese dovranno affrontare investimenti strategici, non ultimi quelli legati alla sostenibilità. Un’esigenza, quella dell’attenzione all’impatto ambientale, che si diffonde lungo le catene del valore.

Il tessuto economico italiano sta affrontando una fase di transizione dalla manifattura verso i servizi: nel biennio 2021-2022, il saldo tra imprese nate e cessate diviso per settore lo conferma. L’industria ha subito la perdita maggiore, con una riduzione del 37 percento, seguita dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, con un meno 26 percento, e gli impianti, calati del 20 percento. Sono nate più imprese di quante ne siano cessate tra gli installatori e nei servizi alle persone e alle imprese, con un saldo positivo vicino al 15 percento.

Questa transizione impone una particolare cura nell’attenzione al portafoglio clienti, visto che l’anzianità non è un sinonimo di affidabilità: tra le imprese cessate, la vita media variava dai 12 ai quasi trent’anni a seconda del settore, segno anche tra le attività anziane le fragilità accumulatesi possono diventare insostenibili.

Quali saranno gli effetti sui pagamenti per le PMI?

La condizione dell’economia nel suo complesso spinge verso un rialzo dei tempi medi e dei ritardi di pagamento. Mai come ora l’importanza di disporre di informazioni attuali ed esaustive sulle controparti è importante per le imprese, visto che anche i clienti storici possono trovarsi in difficoltà finanziarie. infine, le tensioni sulla liquidità impongono una maggiore attenzione alla gestione del credito.

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Fabrizio Pagni

Mi occupo di divulgazione economica. Scrivo di eLearning, finanza e Startup. Curo il blog aziendale di una TLC innovativa. Progetto podcast e giochi da tavola. Le interviste sono la mia specialità: quando sono fatte bene viene fuori la passione che anima le persone. Adoro trattare temi complessi: è quando riesci a spiegarli che sai di averli capiti.

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