- 06/11/2017
È abbastanza comune che chi si avvicina al mondo del trading lo faccia con l'obiettivo di incrementare sensibilmente il proprio patrimonio in un tempo relativamente breve. Purtroppo, parte di questi soggetti ha poche o nessuna competenza in materia finanziaria e questo porta i più saggi a desistere, mentre i più arditi si lanciano in operazioni kamikaze inseguendo i titoli apparsi sui giornali o le chiacchiere da bar, con il risultato di bruciare in poco tempo buona parte dei propri risparmi.
Fino a qualche anno fa lo scenario sui mercati era molto polarizzato: da un lato si trovavano gli investitori competenti e informati (sia istituzionali che retail), mentre dall'altra parte c'erano i neofiti che frequentemente venivano spennati. In soccorso al cosiddetto "parco buoi" hanno quindi iniziato a proliferare corsi di formazione che promettevano all'uomo comune di potere svoltare grazie ad una formula magica. Come nel periodo della corsa all'oro, in cui il guadagno lo faceva innanzitutto chi commerciava le pale per scavare, anche in questo caso i veri profitti li ha fatti chi ha venduto presunte certezze ai propri seguaci.
In questo scenario pre-fintech, all'aspirante trader rimanevano sostanzialmente due possibilità: studiare (ma questo richiede parecchio tempo e pratica) oppure rinunciare ad operare direttamente ed affidarsi ad un consulente finanziario. Premesso che studiare i mercati è sempre cosa buona e giusta se si vuole operare con consapevolezza, possiamo rilevare la nascita negli ultimi anni di una nuova alternativa per gli investitori: il social trading.
Alcuni esempi famosi sono: eToro, darwinex e ayondo, ovviamente sono nati anche servizi con focus specifico sulle criptovalute come coindash. Più nel dettaglio, questo prodotto fintech rappresenta il punto di incontro tra un social network e una piattaforma di trading e consente agli utenti di condividere le proprie operazioni, permettendo agli altri di copiarle. In alcuni casi, le piattaforme forniscono addirittura la tecnologia necessaria per consentire il "trade mirroring", che consiste nel replicare in maniera completamente automatizzata l'operatività di un investitore ritenuto dalla community performante e competente. A loro volta i "top trader", quelli che vengono emulati dagli altri, ricevono delle commissioni come ricompensa della condivisione di segnali operativi. Occorre comunque sottolineare che recentemente l'organo di controllo del mercato finanziario inglese, la Financial Conduct Authority (FCA), istituzione omologa all'italiana Consob, ha dichiarato che l'esecuzione automatica degli ordini è assimilabile all'attività di portfolio management e quindi alcune realtà attive nel social trading devono ottenere specifiche autorizzazioni per poter operare nella legalità.
Nonostante le dinamiche innescate da questo servizio siano state ancora poco studiate, uno studio del 2015 di Doering, Neumann e Paul mette in evidenza che il servizio offerto dalle piattaforme di social trading è in grado di ridurre le asimmetrie informative tra investitori istituzionali e quelli retail. Sembra quindi che la condivisione di informazioni tra utenti dia origine ad un fenomeno conosciuto come "wisdom of the crowd" (la saggezza della folla). Inoltre, lo stesso studio ha scoperto che le operazioni condivise sulle piattaforme sono generalmente più rischiose rispetto a quelle condotte da un gestore istituzionale. Gli utenti sembrano quindi fidarsi molto, forse troppo, di chi viene etichettato dalla massa come "esperto".
Un'altra ricerca del 2016 condotta da Oehler, Horn, e Wendt rivela invece che in media i portafogli "social" non sono in grado di battere la performance del mercato, mentre sembrano essere di altro avviso Pan, Altshuler e Pentland che nel 2012 scoprono analizzando i dati messi a disposizione da un broker internazionale che i trader "solitari" avevano guadagnato in media meno rispetto a quelli "social". A fronte di questi risultati si può pensare che se più persone studiano lo stesso titolo, le probabilità che tutte queste si stiano sbagliando saranno ridotte anche se ovviamente è possibile che un soggetto trascini con sé tutti gli altri inducendoli in errore, un fenomeno conosciuto come "effetto gregge".
Un altro importante contributo all'analisi del social trading è stato apportato da Roder e Walter, che in un paper del 2017 rivelano che gli utenti prima di copiare qualcun altro ne osservano le performance passate, analogamente a quanto accade per la selezione dei fondi a gestione attiva. Possiamo ritenere che questo comportamento venga esacerbato dalle piattaforme di social trading poiché consentono in pochi click di ottenere un ranking storico, anche se è bene sottolineare che questo dato non è assolutamente una garanzia di una sovraperformance futura. Da questa stessa ricerca è emerso pure che i social trader sono in genere più attratti dai titoli più volatili, quindi si può affermare che questo tipo di servizi attiri soggetti con un'alta propensione al rischio e con una certa inclinazione verso la speculazione. Inoltre, è interessante osservare che maggiore è l'interazione del "fund manager virtuale" con i propri follower, maggiori saranno i flussi di capitale verso gli strumenti che suggerisce. Quindi, il grado di interazione tra gli utenti influenza fortemente l'operatività dei "copy trader" ,una indicazione che potrebbe spingere eventualmente anche gli operatori tradizionali a rivedere le modalità di comunicazione con la propria clientela.
In conclusione, è bene ricordare che questo prodotto non è esente da debolezze. Infatti, l'assenza di barriere all'ingresso rende possibile che tra gli utenti si nascondano dei veri e propri ciarlatani (Huddart, 1999). In aggiunta, gli studi hanno rivelato che la maggior parte delle piattaforme che offrono la possibilità di replicare automaticamente le operazioni dei "top trader" operano principalmente su strumenti derivati come i CFD (contratti per differenza), che in genere sono disponibili solo per i titoli più liquidi. Di conseguenza l'universo di investimento risulta piuttosto limitato (Doering, P, et al., 2015).
A fronte di quanto emerso in questa analisi, non si può che condividere la tesi di Hirshleifer (2015) che individua nella "social finance" uno dei temi più importanti nel prossimo futuro. Il rischio che si deve assolutamente evitare è che gli investitori perdano consapevolezza dei propri investimenti e che questo li porti a rischiare molti di più di quanto possano tollerare.
Riferimenti
Doering, P., Neumann, S., & Paul, S. (2015). A primer on social trading networks - institutional aspects and empirical evidence.
Doering, P., Heyden, M., & Surminski, A. (2013). Next Generation Hedge Funds, in Next Generation Finance, Harriman House Ltd.
Hirshleifer, D. (2015). Behavioral finance. Annual Review of Financial Economics, 7(1), 133-59.
Huddart, S. (1999). Reputation and performance fee effects on portfolio choice by investment advisers, Journal of Financial Markets, 2, 227-271.
Lee, W., & Ma, Q. (2015). Whom to follow on social trading services? A system to support discovering expert traders. In Tenth International Conference on Digital Information Management (ICDIM) (pp.188-193).
Oehler, A., Horn, M., & Wendt, S. (2016). Benefits from social trading? Empirical evidence for certificates on wikifolios. International Review of Financial Analysis, 46, 202-210.
Pan, W., Altshuler, Y., & Pentland, A. (2012). Decoding social influence and the wisdom of the crowd in financial trading network. In 2012 International Conference on Privacy, Security, Risk and Trust (pp. 203-209). Amsterdam.
Röder, F., & Walter, A. (2017). What Drives Investment Flows into Social Trading Portfolios?