- 04/06/2020
Qual è l'attuale livello di integrazione tra tecnologia e mondo del wealth management? E come stanno recependo i cambiamenti dettati dall'affermarsi dell'open banking e dell'omnicanalità i soggetti più “tradizionali” accanto ai nuovi protagonisti fintech? Lo stato di salute del cosiddetto Wealthtech è stato analizzato a fondo dall'indagine realizzata dal CeTif, il Centro di Ricerca su Tecnologie, Innovazione e Servizi Finanziari dell’Università Cattolica di Milano.
Una soluzione win win
La ricerca, realizzata in collaborazione con Banca Generali, ha evidenziato come il settore abbia sempre più fortemente abbracciato la direzione digital per rendere il modello di servizio ancora più efficiente nella gestione patrimoniale con un duplice obiettivo. Da un lato per garantire un’offerta ogni giorno più curata ai clienti che chiedono immediatezza e personalizzazione. Dall'altro per venire incontro alla necessità di semplificazione dei consulenti che in questo modo migliorano la relazione con i clienti stessi.
Federico Rajola, professore ordinario di Organizzazione Aziendale e di Project Management e direttore del Cetif ha spiegato così lo scopo della ricerca: “Oggi l’innovazione è interazione tra mondi che possono dar luogo a nuovi servizi. Anche nel mercato del wealth management abbiamo verificato che il tech è importante come le relazioni sociali. Per non perdere la sfida che l’innovazione ci lancia servono CEO illuminati, disponibilità all'innovazione e abilità nell'innestarle nella propria organizzazione”.
La soluzione è un approccio open
Come è possibile dunque conoscere sempre meglio i bisogni dei clienti in modo da elaborare strategie fatte su misura per ognuno di loro? La risposta la forniscono i dati e lo sviluppo di processi data-driven, tutti elementi che rappresentano il fulcro del Digital Wealth Management. Tuttavia essere esclusivamente “digital” non basta e non è efficace (basti pensare alle complessità e peculiarità dei bisogni dei clienti più facoltosi). Ecco perché si sta affermando il modello Phygital, in cui i canali digitali, abbinati ai tradizionali contatti umani, si compensano per garantire un’attenzione su misura per ogni cliente. In tal senso, tra le istituzioni analizzate dal Cetif, Banca Generali rappresenta il modello più innovativo perché si propone di diventare per i clienti un “Life Time Partner” attraverso una strategia che negli ultimi anni ha puntato proprio sulla digital collaboration.
L'ecosistema digitale di Banca Generali
Commentando la ricerca, l’Ad di Banca Generali Gian Maria Mossa ha spiegato: “Già dal 2013 abbiamo intrapreso un percorso di digital trasformation tenendo però sempre presente che la relazione tra consulente e cliente resta la base su cui costruire servizi di valore. Per farlo abbiamo aggiunto la tecnologia che rappresenta un acceleratore. Crediamo nel “Robo for advisory” e non nel “Robo-advisory” e ora questo studio conferma che la nostra strada è quella giusta: investire sulle nostre persone, i nostri banker cui affiancare un ecosistema digitale sempre più evoluto”.
In definitiva la ricerca del CetiF mette a fuoco un fenomeno non più trascurabile: il fintech è ormai un must dell’ecosistema finanziario e anche il settore del wealth management si apre costantemente all’open banking per diventare digital. Una strada che porta a maggiori servizi per una customer experience sempre più efficiente e che, al tempo stesso, rende più solido il rapporto tra consulente e cliente.
Un panorama sempre più ampio
La possibilità si avvalersi delle competenze specifiche nell'ambito del Wealth Management di società fintech del resto è sempre più ampia, visto l'elevato numero di soggetti che si sono affacciati nell'arena competitiva del settore guadagnandosi stima, fiducia e investimenti. Nel 2019, stando ai dati raccolti dalla ricerca realizzata dal CeTif, in America sono state individuate 5.779 wealthtech, per investimenti complessivi pari a 52,5 miliardi di dollari, contro le 3.583 wealthtech dell'area EMEA (Europa, Middle East, Africa) che hanno raccolto investimenti per 34,2 miliardi di dollari e le 2.849 dell'area Asia Pacific, forti di 22,7 miliardi di dollari di investimenti.