- 11/06/2024
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Il tema delle pensioni è tra quelli che più di tutti riescono a smuovere interesse e ad accendere gli animi. Perenne terreno di scontro tra schieramenti politici contrapposti e puntualmente in cima alle promesse delle campagne elettorali, l’argomento riguarda da vicino tutti i lavoratori – dipendenti, atipici e autonomi – tendenzialmente sempre molto suscettibili a ogni riforma che provi a ritardare il momento di dire addio al mondo del lavoro.
In netto contrasto con questa grande attenzione verso le mosse dei governi, però, c’è il sostanziale disinteresse per la propria situazione effettiva. In pratica, tutti hanno un’opinione sulle riforme in atto, ma in pochi sarebbero poi in grado di formulare una stima su quando andranno in pensione e, soprattutto, con quale reddito.
In realtà, a prescindere dai possibili aggiustamenti messi a punto dai governi di turno, lo scenario di fondo è dettato da dinamiche socio-demografiche difficili da controllare – e non è affatto roseo: complici l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento del mercato del lavoro – con contratti molto più flessibili e meno probabilità rispetto al passato di trovare un “posto fisso” per la vita – aumentano i pensionati, mentre diminuiscono i lavoratori che versano i contributi.
Cos’è il tasso di sostituzione?
A risentirne sono le casse dell’INPS, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, oltre a quelle degli enti previdenziali di categoria: a tendere, potrebbero essere sempre meno in grado di garantire ai pensionati un tenore di vita assimilabile a quello avuto in età lavorativa. In altre parole, l’assegno dell’INPS (e delle case analoghe) sarà progressivamente sempre più basso rispetto all’ultimo stipendio da lavoratore.
In gergo tecnico, stiamo parlando del tasso di sostituzione. Questa grandezza, espressa in percentuale, rappresenta il rapporto tra l’importo del primo assegno pensionistico e l’ultimo stipendio percepito prima del pensionamento ed è utile per darci una misura di quanto il tenore di vita a cui ci siamo abituati durante la vita attiva potrà essere mantenuto in vecchiaia, una volta fuori dal mondo del lavoro.
Ipotizziamo, per esempio, che l’ultimo stipendio sia di 2.500 euro mensili e che l’assegno pensionistico ammonti invece a 1.500 euro. Ecco, 1.500 rappresenta il 60% di 2.500: vuol dire che l’assegno percepito da pensionati “copre” il 60% dell’ultimo stipendio. Questa percentuale è, appunto, il tasso di sostituzione.
Ma come faccio a conoscere la mia pensione futura?
Consapevole della situazione delicata in cui versa l’INPS, l’ex presidente dell’ente Tito Boeri a suo tempo lanciò una campagna di sensibilizzazione rivolta ai cittadini. L’obiettivo era proprio quello di renderli edotti circa la loro situazione e incentivarli a “correre ai ripari” – tipicamente avviando una qualsiasi forma di previdenza complementare e facendosi carico attivamente del proprio futuro pensionistico.
Una delle iniziative proposte a questo scopo si chiama Busta Arancione, ed è qui che si può trovare una simulazione del proprio tasso di sostituzione.
Per conoscere la propria situazione è possibile collegarsi al sito Inps e accedere al servizio “la mia pensione futura”, che permette di fare una simulazione online della possibile evoluzione della propria carriera, calcolata sulla base dei dati a disposizione dell’ente previdenziale, con la stima di diversi dati:
- l’estratto conto dei contributi versati finora, con il nome dei datori di lavoro, le ore lavorate, i tempi e gli importi
- la simulazione della contribuzione futura stimata
- il probabile anno in cui si maturerà il diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata
- il possibile stipendio a fine carriera (ipotizzando che non intercorrano periodi di disoccupazione o buchi contributivi)
- la stima dello stipendio pensionistico
- il probabile tasso di sostituzione
Per accedere è necessario richiedere un codice PIN all’ente previdenziale – o essere in possesso delle credenziali SPID.
Su cosa si basano le simulazioni?
Come precisa la stessa INPS, per il servizio online “La mia pensione futura” il calcolo si basa sui dati presenti negli archivi dell’ente, che riguardano la carriera e i contributi versati, e su una proiezione dei periodi contributivi per maturare il diritto alla pensione.
La simulazione prende a riferimento l’ultima gestione previdenziale nella quale si stanno versando i contributi e mette insieme solamente i contributi che si sommano automaticamente per legge.
I calcoli, dunque, vanno presi come una simulazione di massima, tenendo bene a mente che sono suscettibili di variazioni anche significative: per esempio, per quanto riguarda la retribuzione, la crescita stimata è dell’1,5% annuo, ma non è detto che questo corrisponda a realtà (nella versione online questo dato si può modificare manualmente).
Inoltre, il simulatore stima anche alcuni parametri macroeconomici, come per esempio l’andamento del PIL e l’aspettativa di vita, che potrebbero subire variazioni improvvise e imprevedibili.
A cosa servono questi strumenti?
Anche se, come abbiamo visto, queste simulazioni non possono darci un quadro preciso del futuro ad oggi si tratta comunque di strumenti utili a darci una primissima idea di quel che ci aspetta e, soprattutto, a farci capire se e in che misura è il caso di integrare la futura rendita pensionistica pubblica con una forma di previdenza complementare – un fondo pensione aperto o chiuso, un Piano Individuale Pensionistico, un PAC o altro.