- 01/08/2022
Tra un’idea brillante e la sua corretta esecuzione c’è un mare vasto e tormentato. Un mare dove la maggior parte delle startup affonda.
Dopo ormai migliaia di imprese innovative nate negli ultimi anni (sono passati già 10 anni da quando è stata emanata la prima normativa italiana sulle startup innovative), sono numerosi i casi di successo da cui prendere ispirazione per lanciarsi in una nuova iniziativa imprenditoriale.
Nonostante questo, esistono ancora team impreparati, che si lanciano a capofitto in nuovi progetti, senza aver consapevolezza di come gettare le basi per un business solido e di successo.
Se tuttavia nel caso di aziende digitali, si può utilizzare un approccio learning by doing, la stessa cosa non può essere applicata nell’ambito fintech.
Perché in questa industria gli investimenti necessari e i rischi da assumersi, anche solo per testare un nuovo prodotto, sono decisamente rilevanti. Da qui la necessità di partire consapevoli e con un approccio lean, da adattare al settore di riferimento.
Il metodo lean
Il primo passo è la validazione della propria idea imprenditoriale, ossia del nuovo modello di business. Parliamo di quelle che si definiscono “ipotesi di base”.
Formulando delle ipotesi di bisogno da parte di potenziali clienti, possiamo realizzare un’astrazione del nostro prodotto o servizio, prima di partire con la fase di sviluppo del codice.
L’importante è che questa astrazione sia specifica e semplice.
E’ la fase in cui vanno raccolti i primi feedback, onesti, da potenziali clienti che siano al di fuori della propria cerchia di amici e parenti.
Esistono numerosi modi per validare le proprie ipotesi, e quanti più ne testiamo, tanto più chiara sarà la nostra interpretazione della realtà, che andrà a beneficio dell’ingegnerizzazione graduale del nostro prodotto, riducendo sprechi di tempo e di risorse.
In generale, in questa fase di osservazione e di analisi, le due domande fondamentali a cui trovare risposta dovrebbero essere:
- Il cliente è disposto a pagare per quel valore?
- La soluzione proposta crea un valore distinguibile e univoco per il cliente?
Queste due risposte di base sono le prime da dover chiarire prima di mettere in piedi un qualsiasi sviluppo.
In ambito fintech, ce n’è però una terza, imprescindibile, e che può determinare la scelta o meno di intraprendere la propria avventura imprenditoriale: come sviluppo la mia idea innovativa in un contesto regolamentare rigido, senza incorrere in costi di avviamento troppo elevati?
La sfida per il team si colloca a questo punto su un piano diverso, più complesso e - molte volte - costoso.
Immaginiamo, ad esempio, una startup che voglia dedicarsi al microcredito, o al social trading. In entrambi i casi, la società dovrà dotarsi di una licenza, dovrà sviluppare o dotarsi di sistemi certificati, identificare il giusto modello di onboarding e garantire il servizio del cliente.
Siamo quindi obbligati a comprendere il reale costo di avviamento di una startup fintech, all’interno di un ambiente regolamentare non ancora pienamente preparato allo sviluppo di modelli di servizio innovativi. Cosa fare?
Conoscere la regolamentazione
Il primo passo è studiare e capire in prima persona: conoscere la regolamentazione è un elemento imprescindibile per un imprenditore fintech.
In questo settore la conoscenza è il primo passo per poter creare un qualcosa di nuovo, contenendo i rischi relativi a una mancanza di compliance. Un aiuto in questa fase lo danno i nostri competitor, meglio se operano già nel nostro stesso paese, i quali sono i primi ad aver risolto la questione regolamentare alla base e da cui possiamo sicuramente prendere ispirazione.
Il secondo passo da compiere è confrontarsi con un esperto: che sia un consulente legale o la stessa autorità di vigilanza, il confronto è fondamentale per validare la propria idea dal punto di vista normativo, con particolare attenzione all’esperienza utente che si intende realizzar
Saltare anche soltanto uno di questi due step iniziali metterà a rischio la capacità di porre le basi di un business solido e privo di rischi di compliance.
Il motivo è molto semplice: se si vuole innovare in un settore è necessario conoscere il punto di partenza in cui questo si trova.
L’innovazione in ambito fintech è fatta da un botta-e-risposta tra la visione di un founder e il contesto normativo in cui opera, che molto spesso non è al passo con quella visione.
Siamo quindi arrivati a un nuovo snodo per la nostra startup: abbiamo identificato il modello di business e definito la sua conformità con la normativa. Ora dobbiamo costruire, stimando tempi e costi. Che saranno certamente rilevanti. Tempi e costi dipendono fondamentalmente da:
- burocrazia: per ottenere le licenze ci vuole pazienza, spesso tanta pazienza;
- fornitori di prodotti e servizi: in base al modello scelto, le forniture saranno più o meno complesse, ma in generale graveranno in modo consistente sul bilancio iniziale della startup;
- servizi: sempre per rimanere sull’esempio della licenza, bisogna considerare la necessità di utilizzare consulenti e advisor specializzati, il cui costo deve essere considerato per la fase di avviamento.
Proprio in questa fase di costruzione bisogna riconsiderare costantemente la propria idea, verificare la sostenibilità del proprio modello di business e prepararsi a parlare con gli investitori.
Ci troviamo di fronte a un’altra particolare caratteristica delle aziende fintech rispetto a molte altre aziende digitali: il capitale necessario per avviare le proprie operazioni.
Non è un caso che i round iniziali delle startup fintech siano sempre in media di molto superiori rispetto ai seed round di altre realtà. I motivi sono proprio legati alle complessità operative e di compliance.
Open finance e imprese fintech
Fortunatamente, lo sviluppo dell’open finance ha facilitato l’avvio di questa tipologia di imprese, utilizzando strutture più snelle e con costi di compliance ridotti.
E’ possibile infatti operare in un business bancario senza dover costruire i propri sistemi da zero o senza dover per forza ottenere una licenza bancaria. Allo stesso tempo si può erogare credito alleandosi con un istituto finanziario e curando solo la parte di acquisizione e conversione dei clienti.
Attenzione però ad affidarsi troppo a fornitori esterni, perché potremmo incappare in problemi di scalabilità del business, perché magari il fornitore può supportarci solo fino a un certo punto o solo in alcuni mercati.
Dopodiché dovremo fare da soli, sviluppare la propria infrastruttura, scegliere un nuovo fornitore o fermarci.
Un bravo founder, quindi, dovrebbe ragionare sin da subito con un’ottica di internalizzazione dei propri servizi core, mettendo al primo posto la possibilità di scalare su altri mercati già con un round A, cioè non appena usciti dalla fase seed ed early stage.
Anche gli investitori devono essere consapevoli e partecipi di questa strategia sin dall’inizio. In altre parole: si parte in modo lean e con una struttura caratterizzata da costi bassi, cercando di lavorare al massimo sull’incremento delle marginalità.
Detto questo, siamo arrivati - si spera - al primo round di raccolta, che ci supporterà nella creazione del nostro MVP. Siamo pronti a portare avanti la nostra impresa, coinvolgendo team, investitori e ovviamente clienti.
Attenzione però, perché anche se avremo fatto tutto correttamente, la statistica parla chiaro ed è impietosa. La maggior parte delle startup non sopravvive ai primi due anni. Ancora meno arrivano al traguardo dei cinque anni.
Proprio per questo un approccio lean è quasi sempre la scelta migliore, perché proprio per la sua velocità e adattabilità riduce i rischi di fallimento.