- 21/12/2020
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275 miliardi: questa è la stima dell’ammontare dei ricavi che saranno persi nel biennio 2020-2021 (Cerved). Dopo un 2019 che preannunciava finalmente una linea netta tra gli strascichi della crisi del 2008 e, finalmente, la decisa ripresa di quasi tutti i settori, il cigno nero del Covid-19 ha nuovamente invertito la rotta di qualsiasi previsione.
I numeri della pandemia
Tra gennaio e marzo sono state ben 126.912 le imprese che hanno abbassato la saracinesca. E quelli che ancora sono a galla? La risposta sta in un tratto del popolo italiano poco conosciuto: gli italiani sono grandi risparmiatori. Lo stock di ricchezza delle famiglie supera in Italia i 10.700 miliardi di euro, pari a oltre 9,3 volte il reddito disponibile. Nessun altro Paese europeo vanta un rapporto tanto elevato. Il dato impressionante, però, è il fatto che il 43% di tali accantonamenti è quello che potremmo chiamare il “non si sa mai”. Di certo è un aspetto positivo, ma allo stesso tempo questo dato fa sorgere una domanda: è, di contro, la percentuale dei patrimoni effettivamente sfruttati così bassa? Sì, lo è. E quali sono le cause allora?
Chi si fida delle banche?
Alla base dei numeri precedentemente citati troviamo in primis una base educativa: in Italia solo il 30% della popolazione ha raggiunto un’adeguata conoscenza in ambito finanziario, contro il 63% documentato dall'OCSE a livello europeo. Una istruzione economica più solida gioverebbe senz’altro, dunque, ma non risolverebbe del tutto il problema. Altra faccia della medaglia è infatti la diffidenza nei confronti degli istituti finanziari: una questione culturale conduce il mercato tricolore a preferire la gestione dei propri risparmi “sotto il materasso”, piuttosto che affidarsi a banche o enti d’investimento.
Il capitolo banche sarebbe in realtà ampio: la percentuale di popolazione che nutre fiducia in tali istituzioni è in costante calo da anni ormai. Per delineare l’andamento del numero di italiani che ripongono ancora una qualche fiducia, partiamo dal 30% del 2005 al 12% del 2011, sino al 2013. Quest’ultimo è stato il vero anno nero per le banche: solo il 4% degli italiani sarebbe stato disposto ad affidare i propri risparmi ad una banca a cuor leggero. Lo scetticismo ha diversi fattori scatenanti, da quello più banale del crollo del 2008 ad episodi come quello della truffa dei diamanti e dei tango bond.
Dopo una breve ripresa nel 2019, con un aumento di 45 miliardi dei conti correnti delle famiglie, seppur sempre con scelte d’investimento improntate al “rischio zero”, assistiamo oggi all’ennesima contrazione.1 investitore su 2 diffida di borse e banche e la liquidità è in netto calo. Eppure dai numeri dell’anno passato emergono ben 250 miliardi di possibili investimenti e 30% di rendimento potenziale perso.
La componente emotiva gioca senza dubbio un ruolo centrale in questo quadro: uno studio condotto da PwC ha evidenziato come il 72% dei consulenti reputi la capacità di creare un rapporto di fiducia stabile duraturo la più importante caratteristica in una relazione di advisory finanziario. La verità è che l’atto di fiducia è tale se viene concesso in mancanza di tutte le informazioni e questo lo rende un atto emotivo e connesso agli aspetti umani della relazione.
Non a caso quest’ultimo aspetto è stato oggetto di molte discussioni in occasione della stesura della Mifid II, direttiva che mira ad aumentare la tutela per chi investe attraverso un approccio maggiormente visibile ed efficiente da parte di intermediari e società finanziarie, puntando a una migliore trasparenza e contendibilità del mercato.
Può il fintech ridare fiducia alle banche?
Se grossa parte del problema è l’aspetto emozionale, in molti hanno iniziato a chiedersi se la tecnologia, grazie alla sua obiettività , potesse essere la risposta. Non a caso l’industria del fintech è oggetto di uno sviluppo straordinario; sviluppo che tocca in particolare gli USA grazie agli enormi investimenti del venture capital.
Un fenomeno molto interessante in tale ambito è il robo-advisory, ovvero piattaforme online, che, attraverso l’utilizzo di algoritmi di risk management e asset allocation, offre ai risparmiatori pacchetti di soluzioni di investimento, consigliando la costruzione di portafogli più o meno personalizzati.
Robo advisory vs. Human advisory
Di fronte ai primi passi verso l’automazione della gestione finanziaria, la reazione pubblica era stata tutt’altro che entusiasta, tanto da spingere il “The Economist” a dedicare la copertina del numero del 29 marzo 2014 al report di 14 pagine intitolato “Rise of the robots”. Il timore era quello che algoritmi efficienti e veloci a basso costo avrebbero distrutto lo spazio occupato dai financial advisor. Oggi, alla luce delle evidenze, sappiamo che non è così. La convivenza tra Robo e Human advisor non solo è possibile, ma addirittura auspicabile. L’aspetto emotivo è infatti una componente imprescindibile e non necessariamente negativa: il trucco per sfruttarla al meglio è trovare il giusto compromesso tra di essa e i dati oggettivi e puntuali forniti da una macchina inanimata.
Il Robo-Advisor diventa così alla lunga un fedele alleato del consulente, compensando la componente umana dell’incertezza, ma mantenendo comunque l’aspetto relazionale tanto apprezzato dai clienti.
Esistono però anche molti altri vantaggi dati da questo strumento, riassumibili nei seguenti punti:
- Immediatezza: i robo advisor non hanno vincoli temporali o logistici;
- Ridotte barriere d’ingresso: il patrimonio minimo richiesto è decisamente inferiore a quello richiesto dagli enti d’investimento (banalmente a causa dei costi), se non inesistente;
- Bassi costi: il costo del servizio, grazie alla sua scalabilità , è molto contenuto rispetto al modello di operazione tradizionale e anzi, può essere anche gratis.
- ImparzialitĂ : la tecnologia non commette errori di natura emozionale, una delle cause principali degli scarsi risultati di molti investitori.
- Compliance: con l’entrata in vigore di molte nuove direttive, la conformità ad esse, in particolare alla richiesta di trasparenza, risulta essere uno scoglio di non poco conto per i player tradizionali; così non è per i Robo-Advisor per loro natura stessa.
La tecnologia Blockchain incontra il robo-advisory
Alla luce delle regolamentazioni in continua evoluzione (vedi Mifid II citata in precedenza, ma anche IDD, la direttiva europea per i prodotti assicurativi), il beneficio immediatamente tangibile dei Robo-Advisor è la compliance. Di fronte alla richiesta di massima trasparenza e la gestione sempre più rigorosa dei dati in qualsiasi ambito, l’utilizzo di strumenti sicuri e direttamente fruibili dai clienti è la soluzione ideale.
Un caso italiano di particolare rilievo è quello di Mind over Money. Il modello di robo-advisor di Mind over Money, oltre a basarsi su un elaborato algoritmo recentemente brevettato, si appoggia anche sulla blockchain.
Tale tecnologia è stata oggetto di molteplici progetti negli ultimi anni, ma solo in alcuni casi andava oltre l’hype, portando effettivi vantaggi. Il caso del Robo-Advisory è però un caso concreto di utilizzo: tra le caratteristiche principali della blockchain vi è infatti la tanto bramata e auspicata trasparenza. Ciò rende ogni operazione di gestione del portafoglio non solo sicura e visibile al cliente, ma anche immediatamente conforme alle richieste del legislatore.
Conclusioni
La recente crisi e perdita di fiducia generale, non solo negli istituti finanziari, ha messo il Paese di fronte alla necessità di nuovi strumenti e certezze. Le macchine, ancora troppo spesso considerate nemiche dell’uomo, possono diventare validi alleati nella ripresa. Nello specifico, l’utilizzo dei Robo-Advisor assottiglierebbe rapidamente e facilmente l’ammontare dei capitali immobilizzati e non sfruttati, trasformando il precedentemente menzionato “non si sa mai” in una fonte di rendita sicura e fondamentale per momenti storici come quello che stiamo vivendo oggi.