- 12/09/2017
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In questo post parliamo di:
- Innovazione tecnologica e servizi finanziari
- La trasformazione degli intermediari finanziari in società tech
- Il lavoro del bancario che cambia veste
Il 27 giugno 1967 fece la sua comparsa in una filiale Barclays di Enfiled, al nord di Londra, il primo ATM (Automated Teller Machine) della storia; all'intuizione di un tipografo scozzese si deve quella che, per molto tempo, è stata la più grande innovazione tecnologica di cui abbiano potuto beneficiare i clienti di una banca.
John Sheperd-Baroon, stanco delle lunghe code allo sportello per prelevare del contante ed insofferente all'idea di non poter disporre del proprio denaro in qualsiasi momento e luogo, pensò di applicare al denaro la stessa idea che aveva modo di vedere in un bar, un distributore automatico di cioccolata.
Questa sembra essere la versione dei fatti più accreditata, anche se richieste di paternità sono arrivate da più parti, sopratutto dagli Stati Uniti; ma, messo da parte un attimo l'aspetto narrativo, la vicenda evidenzia almeno due caratteristiche del settore finanziario, le banche nello specifico, di quegli anni:
- Una scarsa attenzione nei confronti della società;
- Una forte resistenza al cambiamento;
La società stava mutando, e con essa i consumi ed il rapporto con il denaro da parte degli stessi consumatori; un mondo che cominciava ad essere automatizzato, e quindi se vogliamo più veloce, non poteva sottostare alle regole di modelli di business obsoleti e lenti che imponevano un "dove" ed un "quando" troppo stringenti. In più, il fatto che ad ispirare il "distributore automatico di banconote" sia stata una macchina utilizzata in un bar evidenzia una scarsa permeabilità e reattività del settore finanziario all'innovazione: la prima forma di automazione ha raggiunto le banche quando altri settori erano già avviati in un percorso consolidato di modernizzazione.
Ma, contrariamente a quanto si poteva immaginare allora, Enfield non ha rappresentato un punto di rottura nel modello di business dei servizi finanziari; le preoccupazioni per il "rischio automazione" sui posti di lavoro nel mondo finanziario non sono state seguite dai fatti. Una struttura di mercato che potremmo definire oligopolistica ha permesso alle imprese del settore di continuare a percorrere per decenni un percorso parallelo rispetto al mondo circostante, garantendogli di sopravvivere fino all'inizio degli anni 2000 con organizzazioni e strutture quasi immutate rispetto al 1800.
Se mi è concesso il parallelismo, oggi come allora i servizi finanziari si trovano di fronte a nuovi consumatori, a nuove pressioni dall'esterno, ma a differenza di cinquant'anni fa non hanno delle invalicabili barriere all'entrata a difenderne il business.
La recente crisi finanziaria infatti, oltre ad aver messo in ginocchio i profitti, ha danneggiato irreparabilmente uno degli asset più pregiati del settore, il valore del marchio; la falla aperta ha permesso l'entrata nel settore di nuovi player, fino ad allora sconosciuti che, facendo leva sulla trasparenza, la personalizzazione e l'innovazione tecnologica, sono in grado di offrire servizi maggiormente rispondenti alle nuove esigenze di consumo di servizi finanziari.
Questi nuovi attori del mercato stanno aggredendo e disintermediando l'intera catena del valore dei servizi finanziari, dal retail al corporate, dal conto corrente, al prestito al risparmio; il tutto utilizzando modelli altamente innovativi, con strutture e processi produttivi snelli.
In più, ne stanno aggiornando anche il dizionario con termini anche loro sconosciuti fino a qualche anno fa, quali customer journey, artificial intelligence, big data e analytics.
Tenendo conto anche della grossa sfida che i servizi finanziari stanno affrontando in materia di regolamentazione (in Europa, solo per citarne una la PSD2) e del contesto macroeconomico, la "rivoluzione industriale" paventata cinquant'anni fa è oggi, più che mai, improcrastinabile.
Qualche mese fa Antony Jenkins, ex CEO Barclays, si esprimeva in questo modo a tal proposito:"Ora vediamo la possibilità, non necessariamente la probabilità, di quello che chiamiamo "Kodak moment", con le banche che diventano sempre più irrilevanti per i loro clienti. Le banche possono evitarlo, ma bisogna far qualcosa, devono agire adesso e pensare all'innovazione, ma anche alla trasformazione, facendo qualcosa di radicalmente diverso".
È proprio quel "fare qualcosa di radicalmente diverso" che sta richiedendo a banche e società finanziarie una trasformazione da "società di numeri" a "società di dati", imponendo loro un percorso a ritroso nella catena del valore alla ricerca del valore aggiunto rimasto. Il punto di partenza sono sicuramente i costi: per sopravvivere al cambiamento disruptive e continuare a generare valore in un contesto di compressione dei margini sono necessarie strutture più snelle ed efficienti. In questo contesto l'innovazione tecnologica diventa l'asset principale, con tutto ciò che ne consegue sia in termini di sostituzione uomo/macchina, che di competenze richieste (prendiamo il caso di Goldman Sachs che ha sostituito 600 traders con 200 programmatori).
Fino ad ora però le principali risposte sono state di due tipi:
- grandi slogan, come avvenne per il lancio dell'ATM di Enfield; l'ultimo in ordine di tempo, non di importanza, quello del CEO di Deutsche Bank, John Cryan, "i bancari lavorano già come robot, tanto vale sostituirli con robot veri" (ma se ne potrebbero citare molti altri, dagli avvocati di JP Morgan ai trader di Blackrock);
- un fiume di denaro nel settore IT: da una ricerca Celent è stata stimata una spesa di oltre $200 miliardi per il solo 2016; peccato che solo una parte residuale di questa spesa si traduca in vera innovazione, dal momento che il più delle risorse viene assorbito dal mantenimento di sistemi complessi ed obsoleti e nell'adeguamento degli stessi alla regolamentazione.
In un contesto in cui la maggior parte delle applicazione tecnologiche è in fase di sperimentazione è difficile fare previsioni sugli impatti che queste avranno sul settore finanziario; in più, alcuni studi (per esempio di Accenture e Deloitte) hanno evidenziato un non omogeneo grado di programmazione e preparazione in materia di intelligenza artificiale, tra i top manager intervistati.
Senza far ricorso quindi a numeri e piani di ristrutturazione, quello che sembra essere fuori discussione è la circostanza che la popolazione dei dipendenti dei financial services subirà un sensibile ridimensionamento ed un contemporaneo "cambio di abito": è una tendenza già in atto. Come avvenne nel settore manifatturiero ad essere maggiormente a rischio sostituzione sono tutte le mansioni che richiedono un "semplice" sforzo di ripetizione: il cassiere che doveva essere sostituito dall'ATM nel 1967 potrebbe essere una di queste, ma non solo; secondo il The Deloitte Global Chief Procurement Officer Survey 2017, il settore dei servizi finanziari sarà quello in cui la RPA (Robotics Automation Process) avrà più impatto nei prossimi due anni, andando a interessare la maggior parte dei processi amministrativi, di controllo e di analisi. Altre mansioni potrebbero evolvere, come già sta avvenendo nel caso del servizio di consulenza.
Considerati però gli sviluppi ottenuti da questa corsa all'innovazione tecnologica ad essere colpite potrebbero essere anche delle figure maggiormente qualificate: il settore finanziario è quello a maggior rischio di distruzione di competenze, secondo uno studio del World Economic Forum, considerato anche il livello di rispetto a molti altri settori e la velocità di questa nuova ondata di trasformazione.