- 12/04/2021
Il 14 aprile l’esordio al NASDAQ di Coinbase (non una IPO ma una quotazione diretta) sarà probabilmente il più atteso del 2021. Coinbase infatti è il principale exchange di criptomonete americano, fondato nel 2012 da Brian Armstrong che ne è tutt’ora il CEO.
Questa quotazione sancisce di fatto l’entrata del settore crypto a Wall Street, e per alcuni la data segnerà un momento storico paragonabile all’avvio dell’era dot.com con la quotazione di Amazon nel 1997 (per inciso le azioni Amazon ora valgono più del 120,000% rispetto alla data di quotazione).
Alcuni dati su Coinbase
La quotazione diretta della società dovrebbe portare ad una capitalizzazione iniziale compresa tra i 60-100 miliardi di dollari.
Coinbase riporta nel primo trimestre 2021 ricavi per 1.8 miliardi di dollari (erano 190 milioni di dollari un anno fa), 56 milioni di utenti, di cui 7.000 istituzionali, e scambi per circa 335 miliardi di dollari di controvalore.
Per dare un'idea, considerando i 223 miliardi di dollari di asset complessivi gestiti, Coinbase sarebbe già oggi la 15ima banca più grande negli Stati Uniti.
La crescita del settore Crypto
La quotazione di Coinbase avviene in un momento di crescita dirompente dei numeri del settore cripto, sia dal punto di vista della capitalizzazione di mercato cheha superato la scorsa settimana per la prima volta i 2 trilioni (2000 miliardi) di dollari, sia per il continuo susseguirsi di iniziative di banche e investitori istituzionali che hanno annunciato la loro entrata nel settore con prodotti/servizi dedicati.
Tra questi ultimi è particolarmente significativo (soprattutto per il futuro dell’e-commerce e degli scambi commerciali digitali) quello di VISA che ha annunciato di voler regolare attraverso la cripto stablecoin USD Coin (una moneta criptocoin stabile, perché agganciata al dollaro con rapporto praticamente fisso 1:1) le proprie transazioni interne, utilizzando la blockchain Ethereum.
In quali Paesi del mondo investirà Coinbase?
A ridosso della quotazione ha suscitato un grande dibattito un tweet di Brian Armstrong, CEO di Coinbase che ha avuto più di 2000 commenti provenienti da decine di Paesi diversi del mondo:
Armstrong si rivolge ai follower e agli utenti di Coinbase chiedendo consigli su quali dovrebbero essere i Paesi nel mondo dove Coinbase potrebbe espandersi e investire. Armstrong mette anche un link, tutt’ora attivo, ad un google doc con cui chiunque può lasciare le proprie considerazioni. Le domande che vengono poste sono molto interessanti e ci chiamano in causa anche come community fintech italiana che sta lavorando affinché anche nel nostro Paese si creino le condizioni per cogliere le opportunità che il fintech può presentare in termini di capacità di attrazione di investimenti, creazione di posti di lavoro, ammodernamento complessivo del settore finanziario e del sistema-Paese:
- si chiede ad esempio di indicare in che modo il proprio Paese sia ‘pro-crypto’ e come intenda muoversi velocemente in questo settore;
- si chiede di indicare quali siano gli obiettivi che il proprio Paese si sta ponendo in questo settore;
E l’Italia?
Anche io ho compilato il questionario per invitare Coinbase a considerare anche l’Italia nei suoi futuri piani (speriamo di essere stati in tanti!), anche se non ho potuto fare riferimento a leggi, decreti, dichiarazioni ufficiali sul tema, essendo queste al momento non disponibili.
In Italia oggi non esiste una roadmap sul tema criptomonete, nemmeno allo stato embrionale di ‘lavori in corso’. Ancora di più ad oggi, nonostante ci siano centinaia di migliaia di persone in Italia che hanno già operato sulle criptomonete, non esiste una disposizione di legge chiara in merito al regime di trattamento fiscale, e non è ancora chiaro se nel nostro paese le criptovalute siano da paragonare alle valute estere o agli asset finanziari (con quello che ne consegue a livello di normativa e di fiscalità).
Credo si possa riconoscere che molto del dibattito ufficiale nel nostro paese attorno alle criptomonete ruoti ancora attorno alla domanda se le criptomonete siano qualcosa di veramente disruptive o solamente una bolla speculativa destinata a scoppiare.
Domanda che ha sicuramente un fondamento e in voga in molti paesi, ma che quantomeno dovrebbe essere altrettanto bilanciata da altre domande del tipo:
- Come possiamo attrarre gli investimenti della possibile (probabile?) cripto economy nel nostro Paese?
- Quanti posti di lavoro possiamo generare (o possiamo rischiare di perdere se non agiamo)?
- Qual è il livello di formazione ad oggi disponibile in Italia su blockchain, criptovalute, finanza decentralizzata, web3 decentralizzato?
- I talenti (e magari i neo-criptomilionari e miliardari) come possono essere attratti nel nostro Paese?
Credo che tutto questo dovrebbe essere discusso (in attesa di chiarire se il bitcoin sia una bolla oppure no) urgentemente. Perché qualora la cripto economy fosse davvero la ‘next big thing’ (idea che col passare dei mesi trova sempre più adepti, anche molto autorevoli) da qui passerebbe non tanto il destino delle nuove forme di speculazione digitale, ma di una parte consistente del commercio digitale (e quindi buona parte del commercio tout-court) e del fintech (e quindi della finanza nel suo complesso).
Dopotutto stiamo parlando di una innovazione, quella delle criptovalute, che sta crescendo in termini di numero di utenti con una velocità superiore sia a quella dei telefoni cellulari sia all’adozione di internet stessa quando anche questi ultimi erano alle origini.
Germania possibile apripista in Europa
Se in Italia le acque sono poco mosse, quasi lo stesso possiamo dire a livello europeo con l’eccezione della Svizzera che è un crogiuolo di iniziative nel mondo cripto (nella città di Zug, che viene definita la crypto valley europea, hanno sede alcune delle società crypto più importanti del mondo e recentemente la municipalità di Zug ha avviato la possibilità di pagare in criptomonete anche le tasse comunali fino a un tetto di circa 100.000 €.
La Commissione Europea ha prodotto una bozza ‘Markets in Crypto-Assets Regulation’ (MiCA) ma siamo ancora lontani dall’approvazione che sarebbe prevista verso la fine del 2022. Tuttavia la Germania si sta muovendo autonomamente e sta cercando di costruire un quadro normativo organico per regolamentare le criptomonete e più in generale gli asset digitali.
L’obiettivo è quello di dare certezze per attrarre capitali, società e talenti, in particolare a Berlino dove già hanno diverse società blockchain e crypto. In particolare la BaFin, l’autorità federale per la sorveglianza finanziaria, ha regolamentato la possibilità per le banche e le altre società in possesso di licenza di poter offrire servizi di custodia, di trading e di gestione di criptomonete e asset digitali. In palio dietro a tutto questo potrebbe esserci la nuova leadership in Europa su questo nuovo settore finanziario e industriale.
Conclusioni
L’evento della quotazione di Coinbase è stata l’occasione di ragionare sul futuro della economia legata alle criptomonete e agli asset digitali.
Il tasso di crescita di Coinbase riflette quello dell’intero settore delle criptomonete e del tasso di adozione delle criptomonete, che viaggia a ritmi più alti della crescita di internet nei primi anni.
Tutto questo ci ha portato a riflettere sulle possibili opportunità per il nostro Paese e per il nostro comparto fintech, e anche sui rischi di una inerzia nel caso in cui il settore cripto non si rivelasse una bolla ma una innovazione disruptive destinata a rimanere.
I grandi player si muoveranno e investiranno su scala globale e, come rivelato dal tweet del CEO di Coinbase, vogliono capire quali sono i Paesi più aperti ad attrarre i loro investimenti.
Sarebbe opportuno che in Italia oltre discutere, legittimamente, se il bitcoin è realtà o bolla, si iniziasse a valutare i possibili rischi/benefici derivanti dall’essere precursori o meno in questo ambito.
In realtà le stesse considerazioni potrebbero valere un po' per tutta l’Europa, con qualche segnale di movimento che viene dalle recenti iniziative legislative e normative in Germania.