- 12/10/2021
Moneta legale
Per comprendere cosa sia una moneta virtuale occorre una breve premessa sulla disciplina tradizionale della “moneta”.
La moneta legale è la moneta dotata del potere di estinguere le obbligazioni in denaro, riconosciuta come tale dall'ordinamento giuridico. L'unica forma di moneta legale è la moneta contante emessa da una banca centrale - per l'euro la Banca Centrale Europea (BCE) - in quanto la sua creazione si basa su procedure che hanno lo scopo di garantire la fiducia generale nella moneta e la stabilità del suo valore nel tempo.
Moneta scritturale bancaria
La moneta scritturale bancaria è una forma di moneta privata. La moneta bancaria è emessa dalle banche e accettata da tutti perché convertibile in moneta legale. Le banche, insieme ad altri prestatori di servizi di pagamento autorizzati, offrono a famiglie e imprese strumenti di pagamento (assegni, carte di pagamento, bonifici, ecc.) che possono essere utilizzati per trasferire moneta bancaria o prelevare moneta contante.
La natura giuridica della moneta virtuale
Nell'Ordinamento italiano le valute virtuali hanno ottenuto riconoscimento positivo con l'introduzione del d. lgs. 25 maggio 2017, n. 90, che recependo la Quarta Direttiva antiriciclaggio - direttiva (UE) 2015/849 - ha introdotto la seguente definizione di "valuta virtuale": “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
I giuristi si sono subito posti il quesito della natura giuridica delle "monete virtuali" e lo sforzo degli interpreti è stato quello di ricondurne la fattispecie entro canoni noti, proponendo diverse soluzioni per individuare la natura giuridica delle c.d. "rappresentazioni digitali di valore" e sul punto è significativa, sia per la ricognizione normativa, sia per lo sforzo interpretativo la pronuncia del TAR Lazio, ROMA, sez. III ter, 28 gennaio 2020, n. 1077.
L'interpretazione della giurisprudenza
Un primo orientamento riconduce le monete virtuali al novero dei beni immateriali ex art. 810 cod.civ. (più precisamente beni mobili), suscettibili di formare oggetto di diritti reali ed obbligatori (sul punto si veda la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2019 della Sezione fallimentare del Tribunale di Firenze).
Un secondo ordine di pensiero, altrettanto riconosciuto in dottrina, accredita la diversa tesi secondo la quale dovrebbe accostarsi l'impiego della valuta virtuale alla categoria degli strumenti finanziari. Tale qualificazione punta a valorizzare la componente di "riserva di valore", che almeno in parte, può caratterizzare le criptomonete e che consente di attribuire a queste ultime una finalità d'investimento; impostazione che si porrebbe anche a protezione dei consumatori e dell'integrità dei mercati (in questo senso, Tribunale Civile di Verona, sentenza n. 195 del 24 gennaio 2017, che ha ritenuto applicabile alle fattispecie in esame il Codice del Consumo ed il regolamento CONSOB n. 18592 del 26 giugno 2013).
In favore di tale impostazione militerebbe la circostanza che la nozione di "prodotto finanziario" appare astrattamente capace di abbracciare ogni strumento idoneo alla raccolta del risparmio, comunque denominato o rappresentato, purché rappresentativo di un impiego di capitale (e dunque troverebbe applicazione la nozione di cui alla lettera u) dell'art. 1 del d.lgs. n. 58/1998 - TUF).
Di contro l'art. 1, comma 4, del TUF, secondo cui "i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari", osterebbe alla equiparazione generale ed astratta delle criptovalute agli strumenti finanziari, ma non alla riconduzione a tale nozione di quelle operazioni che risultino connotate da utilizzo di capitale, assunzione di un rischio connesso al suo impiego ed aspettativa di un rendimento di natura finanziaria (in questo senso viene richiamato l'orientamento della CONSOB sotteso a più recenti delibere, come la nr. 19866/2017, avente ad oggetto la sospensione dell'attività pubblicitaria per l'acquisto di pacchetti di estrazione di criptovalute; 20207/2017, divieto dell'offerta di portafogli di investimento in criptomonete; 20720/2018 e 20742/2018, ordine di porre termine alla violazione dell'art. 18 del TUF).
Il TAR LAZIO sopra citato ritiene che la definizione legislativa sopra riportata “non si limita a qualificare la moneta virtuale quale "mezzo di scambio", ma contempla espressamente la possibilità che tramite il suo impiego si compiano operazioni di "acquisto beni e servizi" oppure "finalità di investimento", recependo quella caratteristica duttile delle "rappresentazioni digitali di valori" già avvertita in dottrina che consente a queste ultime di veicolare più tipologie di operazioni e scambi”.
Un approccio fattuale alle monete virtuali
Ad avviso dello scrivente, le parole “finalità di investimento” non si trovano nella definizione di valuta virtuale e, quindi, la tesi del TAR pare forzata, anche se bisogna convenire col fatto che un investimento è una “rappresentazione generale di valore”.
Quindi, oggi, si tende a fornire una qualificazione fondata su una definizione "funzionale" delle monete virtuali e non in base al loro mero possesso. Ciò che ne determina la qualificazione sarà, quindi, il loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili, coerentemente con la loro natura “rappresentativa di valori". Facciamo un paio di esempi.
Il pagamento di beni e servizi con criptomonete non estingue il debito di chi contrae l’obbligazione di pagamento per il fatto che sia una moneta (che come abbiamo visto non può essere), ma per il fatto di essere un bene permutabile e che come tale estingue il debito. Quindi, giuridicamente non si può ritenere che il versamento di criptomonete corrisponda al pagamento del dovuto, ma al trasferimento di un bene immateriale che viene permutato con il bene scambiato. Un fondo di investimento in criptomonete sarà, invece, a tutti gli effetti, uno strumento finanziario.
Le monete virtuali in Europa
Occorre osservare che la DIRETTIVA (UE) 2018/843 ha introdotto anche nell’Unione Europea la definizione di “valute virtuali” del tutto simile a quella italiana: “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”, specificando che la valuta virtuale non ha lo status di “moneta”.
Conclusione
Il fatto che la definizione sia pressoché identica costituisce certamente un vantaggio perché lo sforzo posto in essere dal TAR del Lazio sarà quello che dovrà essere profuso dai Tribunali dell’Unione con evidente vantaggio per il dibattito e gli approfondimenti sulla materia.
Autore
Avv. Paolo Moroni