- 29/01/2020
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Il futuro si allontana un po’ di più. Malgrado la narrativa accademica e pubblicitaria di questi ultimi anni, forse non arriveremo mai a vedere la nascita di una società completamente cashless. Anche la città di New York, dopo quelle di Philadelphia e San Francisco, sta per approvare una legge che proibisce a negozi, ristoranti e attività commerciali di non accettare pagamenti in contanti o applicare maggiorazioni al conto di chi paga in banconote e “monetine”. Dallo stesso Paese che ha vietato i pagamenti solo “cashless” nei negozi Amazon Go, arriva un messaggio che conquista le prime pagine dei media di tutto il mondo: il contante non è morto, lunga vita al contante.
Dal denaro che conosciamo al denaro che ci conosce
Scritta su un blog di fintech, questa espressione quasi come un’eresia: eppure è necessario oggi riconoscere quelle qualità del denaro cartaceo che rendono quest’ultimo uno strumento di pagamento ancora attuale e massimamente diffuso, non solo per quanto riguarda gli evasori o criminali. È il “denaro che conosciamo”, per usare una felice espressione di David Birch, contrapposto al denaro tracciabile “che ci conosce”.
Il miglioramento delle tecniche di anticontraffazione, la possibilità di poterlo usare sempre per pagare ed essere pagati, la non-tracciabilità che inibisce la ricezione di offerte invasive, la possibilità di prelevarne piccole quantità per limitare le spese rendono il contante uno strumento di pagamento ineguagliato… Malgrado la scomodità, deperibilità, il rischio di smarrimento o furto che lo contraddistinguono da sempre.
La scelta di New York è forse un’anticipazione dello scenario prossimo venturo: anziché la digitalizzazione, assisteremo alla coesistenza di forme di denaro antiche e nuove, scelte dal consumatore in base alla convenienza del momento e alla propria possibilità di utilizzo di queste ultime.
Se i pagamenti digitali via app tramite smartphone presentano oggi l’indubbio vantaggio di abilitare un’economia informale di scambio peer-to-peer (P2P), per certi versi più sicura di quella basata sui pagamenti in contante (si pensi al mercato della compravendita di auto tra privati), nondimeno la diffusione ulteriore dei pagamenti in mobilità si scontra con i limiti tecnici dei dispositivi (copertura di rete, durata della batteria) e con resistenze culturali via via crescenti in ampie parti della popolazione.
Tra denaro digitale e contante sopravviveranno forme a loro volta caratterizzate da vantaggi e svantaggi comuni: il denaro “di plastica” (sempre accessibile, ma attraverso cui non è possibile “essere pagati” in mancanza di un terzo dispositivo idoneo), il denaro complementare, dai “rubini” di Tik Tok ai circuiti di credito commerciale sul modello Sardex (funzionali al P2P, ma spendibili solo all'interno di un circuito predefinito), per arrivare alle criptovalute (accessibili, parzialmente tracciabili, non deperibili, ma soggette a fluttuazioni improvvise di valore che ne condizionano la spendibilità).
In questo contesto, come già avviene proprio nel settore delle criptovalute (si veda il primo “Global Cryptocurrency Benchmarking Study” realizzato dal Cambridge Center For Alternative Finance) assisteremo probabilmente anche alla fioritura di una nuova filiera di intermediari specializzati nell'accesso, creazione, gestione, messa in sicurezza e transazioni tra “wallet” di varia natura e finalità: dai “diamanti” di Tik Tok alle criptovalute, dai buoni pasto aziendali ai Sardex, dal contante al denaro elettronico e ritorno in luoghi e modalità ancora inesplorati.
L’inclusione finanziaria va di pari passo con l’inclusione tecnologica
La decisione di New York rappresenta probabilmente uno spartiacque nel processo di diffusione del denaro elettronico e dei nuovi strumenti di pagamento digitali: venuta meno la profezia pubblicitaria (e di certi autorevoli istituti di ricerca) di un predominio “by design”, inizia ora la vera sfida per includere nei pagamenti digitali quelle fette di popolazione finora rimaste saldamente legate (o vincolate?) al contante.
Si pensi, per quanta riguarda il contesto italiano, alle conseguenze disastrose che la chiusura delle ultime filiali bancarie stanno avendo in certe aree interne o di montagna: la diffusione di strumenti di pagamento “cashless” potrebbe rivitalizzare l’economia e contrastare lo spopolamento, facilitando gli scambi economici interni ed esterni e agevolando non poco la vita degli abitanti.
L’economia sommersa, illegale, criminale potrebbe subire un duro colpo dall'impossibilità di utilizzare i tagli maggiori di banconote per le proprie transazioni (come evidenziato da Rogoff nel suo “The Curse of Cash”). La scarsità di contante potrebbe avere un ruolo di dissuasione nei confronti della microcriminalità locale, quella che prende di mira gli appartamenti degli anziani o i piccoli negozi di quartiere. Qual è il costo di gestione del contante per una panetteria, un’edicola, una farmacia? Servono più ricerche a riguardo.
Non vanno, del pari, trascurati gli effetti che un sistema economico tendente al “cashless” può avere nei confronti di persone che l’onda lunga del digitale ha scavalcato da un pezzo: fino a che punto una persona anziana può utilizzare una app di pagamento concepita da e per utenti più giovani? In che misura i bambini possono maturare la consapevolezza del valore del denaro, se la versione digitale di quest’ultimo assomiglia a una password numerica con cui è possibile “accedere” illimitatamente a beni e servizi?
Le risposte alle sfide sociali poste da una società sempre più, anche se mai del tutto “cashless” non sono banali: quali tutele sono previste, nelle app bancarie e fintech, per coloro che soffrono di dipendenza dal gioco? E in che misura le donazioni cashless via app tramite smartphone, già sperimentate con successo nel Regno Unito, possono contribuire all'inclusione finanziaria di persone senza fissa dimora, quando queste sono prive di uno smartphone o di una connessione alla rete (digitale ed elettrica) costante e gratuita?
Dalla personalizzazione algoritmica a quella sociale
Le tecnologie digitali, non solo quelle dell’ambito fintech, stanno venendo meno a una delle grandi promesse iniziali: la capacità di adattarsi ai bisogni e alle esigenze dell’individuo. La personalizzazione oggi in atto, dalle app fintech ai social media ai motori di ricerca, è una personalizzazione di tipo algoritmico che indirizza l’utente verso determinati contenuti o servizi in base a un’analisi dei suoi comportamenti passati... Ignorando, tuttavia, la dinamicità delle sue esigenze attuali (e soprattutto future).
Il cliente fintech delle pubblicità è giovane, occupato a tempo pieno, istruito, a suo agio con la tecnologia, senza debiti, senza debolezze o fragilità psicologiche, con genitori ancora autonomi al seguito. Le “personas” hanno preso il posto delle “persone”: la troppa vita in ufficio impedisce ai tecnici di accorgersi della varietà delle casistiche umane (che pur incontrano nel loro viaggio quotidiano attraverso la città).
Salvo casi isolati, come Monzo Bank nel Regno Unito che ha collaborato con The Money and Mental Health Policy Institute per lo sviluppo di funzioni rivolte alle persone affette da disagio psichico, le soluzioni a disposizione del “cliente tipico” non sono altrettanto funzionali a rispondere alle necessità di anziani, bambini, disoccupati, lavoratori precari, disabili, persone con fragilità psichiche o non-urbanizzate.
Finché la personalizzazione delle tecnologie sarà dipendente solo dagli algoritmi, le nuove forme del denaro coesisteranno insieme alle vecchie, troppe volte giudicate sul punto di svanire: in parte, come abbiamo visto, per libera scelta dell’utente, in parte come esito dell’impossibilità di alcune persone di utilizzare a proprio vantaggio tecnologie progettate per un ristretto numero di individui. Con buona pace sia dei negozi interamente “cashless”, sia di quelli che vorrebbero un po’ meno “cash” in cassa a fine giornata.