- 03/10/2016
L’ultimo rapporto della Consob sugli investimenti delle famiglie italiane ha descritto, peraltro senza particolari sorprese, un‘Italia poco consapevole e malamente informata in materia di scelte finanziarie, scarsamente attenta alla programmazione di consumi e risparmi, poco propensa a pagare un servizio di consulenza, incline ai consiglio di amici e conoscenti.
In più, il Report ha evidenziato una certa ritrosia rilevata negli investitori italiani verso soluzioni meno tradizionali e più tecnologiche, quali robo-advisor o crowdfuning, aggravata da una scarsa attitudine verso il digitale e una mancanza di fiducia nei confronti di “soluzioni a distanza”, che aumentano la percezione di essere vittima di truffe.
Sinteticamente potremmo dire che, gli italiani, da grandi scommettitori, si approcciano al gioco ed al risparmio allo stesso modo.
Ma, giudizi personali a parte, che si parli di banche o di robo-advisor il filo conduttore è il medesimo: la scarsa educazione educazione finanziaria, sia che si parli di strumenti che di concetti.
Una tematica, quella dell’educazione finanziaria che, riproposta ad ondate, è stata palesemente ignorata dalla istituzioni (che solo ora stanno provando a mettere una pezza con una proposta di legge della Commissione Finanza della Camera, con l’obiettivo di rendere obbligatoria l’educazione finanziaria) e dagli intermediari finanziari (bancari in particolare) che hanno privilegiato il risultato alla consapevolezza della clientela, quest'ultima spesso utilizzata come leva per il raggiungimento di bonus e premialità di diversa natura.
Non va inoltre dimenticato che i risultati vanno oltre i dati presentati dalla Consob e si traducono in maniera particolare in un aumento della popolazione unbanked, per dirla come gli inglesi, che, vuoi per le difficoltà economiche, vuoi per la crescente sfiducia verso i servizi finanziari, hanno rinunciato ad accedere ai servizi finanziari; a questo, aggiungiamo l'atteggiamento degli stessi intermediari che, nascondendo inefficienze e difficoltà dietro vincoli regolamentari, hanno creato un’ulteriore barriere all’ingresso dei servizi, soprattutto nei confronti delle fasce maggiormente in difficoltà.
E’ vero che l’impresa è cosa ben diversa dalla beneficenza, ma ciò non giustifica la banca a svolgere funzione di banca retail avendo come obiettivo primario il trading book.
Questa piccola parentesi può servire ad inquadrare il contesto all’interno del quale ha preso vita la rivoluzione Fintech che, partendo da queste bad practices, ha sviluppato una serie di servizi finanziari alternativi ai tradizionali, in grado di garantire efficienza ed assistenza all’utente, ritornato ad essere il motore centrale dei servizi; quanto appena scritto per molti sarà superfluo, ma serve da cornice per inquadrare meglio quanto seguirà.
Ritornando all’essenza del discorso, trarre conclusioni affrettate può essere facile quanto fuorviante, alla luce di quanto appena scritto, perché non bisogna limitarsi a disegnare relazioni inverse tra i meriti degli innovatori Fintech ed i demeriti degli intermediari tradizionali che, tra le altre cose prevalentemente continuano a preferire il termine tendenza momentanea a rivoluzione; il merito va a chi ha saputo interpretare i bisogni di una ampia fetta di popolazione, reinterpretandone l’esperienza.
Anche una lettura superficiale potrebbe ridurre il raggio verso il suffisso -Tech, limitando la comprensione al come e non al perché, riducendo al concetto di app una visione differente, un punto di vista differente. Giusto per completezza, anche solo fermandosi al -Tech ci sarebbe molto da scrivere, se si pensa che il settore della finanza, che è un business fondato sull'informatica, già adesso spende per le tecnologie informatiche una quota dei propri ricavi superiore a quella di qualsiasi altro settore; da utente lo avreste detto? Procedure e servizi continuano a seguire logiche e tempistiche medioevali, mentre algoritmi e macchine vengono potenziati per superare le inefficienze umane. In questo caso, ovviamente l'intelligenza artificiale rappresenterebbe progresso tecnologico.
Lasciando le incombenze in materia di business a chi di competenza, voglio soffermarmi su un altro passaggio del Rapporto sugli investimenti, per arrivare al cuore pulsante del Fintech. In particolare, la Consob parlando di servizi finanziari innovativi scrive: “La digitalizzazione è destinata a modificare rapidamente l'intermediazione finanziaria. Innovazioni di portata dirompente hanno già ridefinito in maniera radicale il modo in cui prodotti e servizi finanziari vengono strutturati, distribuiti e utilizzati. Tra queste innovazioni, l'automazione della consulenza finanziaria (cosiddetto robo-advice) e la raccolta di capitali attraverso piattaforme di crowdfunding sono fenomeni particolarmente rilevanti anche per il possibile impatto sugli investitori retail. Oltre ai potenziali rischi, oggetto di indagine da parte delle autorità regolatrici nazionali e internazionali, tali fenomeni potrebbero essere forieri di alcuni benefici. Il robo-advice potrebbe aumentare la fruibilità dei servizi di consulenza da parte di una platea di investitori sempre più ampia per via dei costi contenuti. Il crowdfunding potrebbe consentire alle imprese, soprattutto medio-piccole, di accedere a forme di finanziamento alternative al tradizionale credito bancario che, in conseguenza del modificato contesto di riferimento, ha subito una progressiva contrazione”.
Due sono le parole chiavi del periodo, ovvero, aumentare e accedere. Ed è in queste parole due parole che deve essere letta la vera rivoluzione proposta dal Fintech: aumentare la fruibilità dei servizi finanziari ad una platea più vasta di utenti, che fino ad ora è stata tenuta a margini o allontanata dai servizi finanziari, garantendo loro allo stesso tempo una maggiore efficienza a costi più contenuti. A questo assunto di base si deve la frequente associazione tra Fintech e “democratizzazione dei servizi finanziari”; ma se di democrazia si parla, questa non può prescindere da altri due termini, dogmi: condivisione e conoscenza.
Una nuova visione dei servizi che mira a reinterpretarne l’esperienza, riportando al centro i bisogni dell’utente, rendendolo parte attiva, pretende la consapevolezza di quest'ultimo, sia che si parli di strumenti che di concetti.
Ecco allora la vera grande sfida del Fintech: l’educazione finanziaria!
La rivoluzione Fintech si sta prefigurando principalmente come “movimento di visione”, oltre gli strumenti e le metodologie; a chiosa del suo libro Breaking Banks, Brett King pone proprio l’accento su questo diverso modo di pensare ai servizi finanziari scrivendo “con il titolo Breaking Banks penso soprattutto ai breakthroughts, all’apertura di nuovi varchi, alla rottura del circuito di pensiero ripetitivo, e non alla distruzione del tradizionale sistema bancario”.
Ed in questo processo di revisione il salto di qualità, l’asticella più alta, per superare la visione tradizionale dei servizi finanziari e conquistare la completa fiducia di chi fino ad ora si è visto chiudere la porta in faccia o quella porta ha preferito evitarla, deve realizzarsi nell’impegno di pretendere e “costruire” un utente educato, informato; proprio in questo deve realizzarsi la disruption, la distruzione del velo di opacità e non eticità che fino ad ora ha utilizzato la leva dell’ “ignoranza” per segnare un segno più o per rimanere barricata dietro il proprio status quo. Ecco che allora il suffisso -Tech potrebbe divenire intercambiabile con il suffiso -Edu: la tecnologia quale strumento per la conoscenza.
Nel caso specifico, l’Italia si trova in mano lo strumento perfetto per superare il Gap evidenziato dalla Consob, senza dover aspettare burocrati e legislatori vari. E questo gli innovatori italiani (spero non si offendano per la definizione) lo hanno capito bene, anzi, lo hanno adottato come paradigma e non perdono occasione per ribadirlo.
Non è un caso, infatti, se Serena Torielli, co-founder and CEO di AdviseOnly (uno delle esperienze meglio riuscite in Italia in materia di Finanza-Tecnologia), ha sfruttato l’occasione del Salone del Risparmio dello scorso Aprile per porre l'accento sull’importanza dell'educazione finanziaria, quale leva per raggiungere la clientela esclusa dai servizi finanziari, sfruttando la struttura meno rigida e la capacità di linguaggio più semplice di una startup, rispetto ad una banca; neanche le iniziative di MoneyFarm (un primo posto ex equo con AdviseOnly) sono un caso, come non lo è stata la MoneyFarm Boutique allestita a Milano per due mesi, un museo dell’educazione e della divulgazione finanziaria, considerata esigenza particolarmente sentita in Italia che, tra i paesi ricchi, è quello dove la financial literacy è meno diffusa e l’analfabetismo finanziario tra i più elevati; e non sarà altresì frutto del caso se la stragrande maggioranza degli intermediari “tradizionali” continua ad ignorare il problema, per paura di vedersi negato il proprio status quo.
Rivoluzione, disruption, democratizzazione, sono tutti termini utilizzati per sottolineare la portata del fenomeno, che va ben oltre l’innovazione tecnologica. Il quadro verrebbe perfettamente completato dall’affiancamento delle parola educazione, quale atto di profonda innovazione.
Fortunatamente non sono in pochi a pensarlo e sono già in molti ad adoperarsi affinché Fintech e FinEdu possano diventare sinonimi.
"C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.” H. Ford