- 03/07/2023
Un delicato cammino verso la cooperazione tra Fintech e banche. Questo è il quadro emerso dalla conferenza “Fintech e banche: da competitor a coopetitor”, tenutosi al Palazzo delle Stelline di Milano, mercoledì 28 giugno. L’incontro ha fatto il punto sulla situazione del settore finanziario italiano e sulla sua capacità di integrare l’innovazione al suo interno.
Alla conferenza hanno partecipato i rappresentanti di entrambe le realtà . Per le società Fintech erano presenti Roberto Nicastro, Presidente di Banca AideXa, Davide Genovesi, Sales Team Lead Italia di SumUp e Federico Roesler Franz, Managing Director di Solaris SE. Dal lato delle banche incumbent, Lucia Zola, Head of Customer Centricity Center di UniCredit, ha illustrato l’approccio dell’istituto verso la collaborazione. Hanno contribuito a completare il quadro gli interventi di Paolo Gianturco, FSI Consulting & FS Tech Leader di Deloitte e di Camilla Cionini Visani, Direttrice generale ItaliaFintech, moderati al condirettore di Affaritaliani.it, Marco Scotti.
L’evento ha affrontato il tema cruciale per l’evoluzione dei servizi finanziari nel nostro Paese, quello del rapporto tra startup e scaleup Fintech e le banche tradizionali. La questione è tanto importante quanto ricorrente: dalla relazione tra questi due tipi di attori dipende l’evoluzione dei servizi offerti e la competitività del settore stesso.
Fintech e banche incumbent: due attori complementari
L’interrogativo tra competere o cooperare ha avuto diverse risposte nel corso del tempo. La natura delle nuove società Fintech potrebbe far pensare a una rivalità con le realtà bancarie tradizionali: soluzioni tecnologiche avanzate per offrire soluzioni più efficienti ed efficaci in un settore in cui i tempi e i costi sono percepiti dai clienti come una limitazione. Le cose non stanno necessariamente così. Anzi.
A quasi sei anni dalla fondazione del Fintech District di Milano, questa interpretazione sembra superata a favore di una convivenza potenzialmente simbiotica. Come ha sottolineato Roberto Nicastro, i due attori sono tra di loro complementari ed è importante che ciascuno sia consapevole dei rispettivi punti di forza e di debolezza.
Le aziende Fintech nascono per risolvere un problema specifico e, affinché sopravvivano alle prime fasi, la loro forza è costituita dalla capacità di offrire un servizio rapido ed efficace con modalità e interfaccia più apprezzate dai clienti.
In sintesi: le Fintech coniugano soluzioni efficaci con user experience entusiasmanti. Qual è il loro principale punto di debolezza? Quello di ogni nuova impresa: una platea di clienti da convincere in tempi rapidi e quantità sufficienti ad attivare le economie di scala. Per sostenere gli alti costi dati dagli investimenti, fatturato, flussi di cassa e clienti devono scalare in fretta.
Uno degli asset piĂą pregiati delle banche tradizionali sono i loro clienti che, per le banche piĂą grandi, sono milioni. Decenni di attivitĂ , una reputazione di soliditĂ patrimoniale e di affidabilitĂ e, fino a qualche anno fa, una presenza capillare sul territorio, conferiscono alle banche incumbent quella visibilitĂ e presenza sul mercato che le Fintech puntano ad ottenere.
Dal canto loro, la struttura stessa delle banche è un ostacolo all’adozione di soluzioni innovative: sistemi informatici obsoleti, culture orientate verso le procedure consolidate e una maggiore articolazione dell’organico rendono più difficile l’adozione di nuove soluzioni di prodotto e di processo.
Secondo Lucia Zola, Head of Customer Centricity Center di Unicredit, le imprese Fintech possono essere un acceleratore dell’innovazione per le banche e quella di Unicredit è una strategia orientata verso la reinternalizzazione di competenze tecnologiche chiave. Per ottenere questo è necessario che l’Istituto ottimizzi l’integrazione con gli operatori esterni.
Dal quadro emerge come i due attori presentino importanti punti di convergenza, con le Fintech che si assumono il ruolo di fornitore di tecnologie e soluzioni innovative e le banche incumbent che le diffondono, facendo leva sulle quote di mercato presidiate.
Il lending è un caso di successo di questa collaborazione. Come illustrato da Camilla Cioni Visani Direttrice generale ItaliaFintech, i prestiti alle PMI, target trascurato dal comparto bancario, avevano fatto supporre che quello delle Fintech fosse un confronto diretto. Il mercato sembra essersi orientato verso una coesistenza mutualmente proficua, come testimoniano i dati di crescita: quasi 10 miliardi di erogato dal 2019, con un taglio medio di 400 mila euro di prestato. Numeri possibili grazie alla mutata preferenza dei clienti, più favorevoli a ricorrere a servizi online, e alla collaborazione con le banche tradizionali, che hanno anche assunto il ruolo di co-investitori.
Per attuare al meglio questa cooperazione è però necessario che ciascun attore sia consapevole dei vincoli e delle logiche dell’altro. Per avere successo, le startup Fintech devono ragionare in termini di Prodotto Minimo Funzionante (MVP, Minimum Viable Product), un prodotto essenziale nelle caratteristiche, da portare il prima possibile sul mercato e rielaborare nelle successive implementazioni. Dal canto loro, prodotti e procedure bancari e devono rispondere ai regolamenti in materia e alla supervisione della Banca d’Italia.
I clienti promuovono la digitalizzazione
Digitalizzazione e cooperazione tra banche e startup del Fintech beneficiano di un cambio delle abitudini nei consumatori. Che mostrano chiaramente una preferenza per i servizi online, integrati e multicanale. Il cliente di oggi esige tempi rapidi e certi per l’esecuzione dei servizi scelti. L’evoluzione delle piattaforme di streaming digitale e gli e-commerce, trainati da Amazon, hanno abituato il mercato a una esperienza di uso tanto semplice quanto flessibile: una stessa transazione, sottoscrizione o prenotazione possono essere iniziate su uno strumento, sospese e continuate su un altro; le spedizioni possono essere prenotate e tracciate in ogni momento, e le sottoscrizioni possono essere rimodulate a seconda delle esigenze. Questo è il tipo di integrazione a cui realtà come Unicredit puntano per rendere l’integrazione sempre più veloce e flessibile.
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Il Covid ha accelerato una tendenza già in atto. Secondo Paolo Gianturco, FSI Consulting & FS Tech Leader di Deloitte, la pandemia e l’avvento del cloud sono stati i principali fattori di cambiamento negli ultimi anni. Secondo Gianturco, per entrambi i soggetti sono chiari i vantaggi reciproci di una collaborazione. Che passa anche attraverso la gestione dei dati e alla loro sicurezza.
Il punto è riuscire a parlare la stessa lingua: da un lato, per aprirsi alla collaborazione deve assicurarsi di creare uffici ad hoc, incaricati di gestire i progetti in comune; dall’altro, le Fintech devono aver chiaro che la comunicazione con una banca presuppone un approccio strutturato, che coinvolga profili senior con competenze che spaziano dalla regulation finanziaria all’organizzazione aziendale.
Per le startup di minori dimensioni, questo è un ostacolo da affrontare. Realtà come il Fintech District sono un catalizzatore di innovazione e di integrazione di cui il Paese ha un grande bisogno. Soprattutto perché l’integrazione prosegue a un passo nettamente più lento rispetto ai casi europei più virtuosi.
Le nostre startup di successo che riescono a passare allo stato di scaleup lo fanno in tempi più lunghi. In Germania, la raccolta di capitali permette di creare unicorni, le startup che superano il miliardo di euro di valutazione, in meno di cinque anni. Il confronto con l’Italia è impietoso, soprattutto se si considerano quelle scaleup che, senza arrivare a quelle dimensioni, riescono ad internazionalizzarsi.
In queste condizioni, il Fintech italiano è un mercato di conquista per gli operatori esteri più che un punto di partenza per le nostre startup. L’innovazione arriva, e questo è il lato positivo, ma per le nostre imprese più tecnologiche riuscire ad affermarsi sui mercati esteri resta una sfida critica.
Il caso presentato da Federico Roesler Franz, Managing Director di Solaris SE, è emblematico. Fondata in Germania nel 2016 la startup Solaris SE è a tutti gli effetti un istituto bancario con licenza completa che ha fatto dell’Embedded Finance il suo punto di forza. Focalizzata sui servizi B2B alle imprese, Solaris offre alle banche tradizionali la propria competenza sui servizi bancari digitali, offerti in modalità as a service.
Con l’integrazione di Api, piccole applicazioni progettate per fare da ponte tra diversi software, Solaris SE punta ad integrare i servizi finanziari con quelli offerti da aziende non finanziarie: finanziare il cliente direttamente durante la procedura di acquisto o fornire assicurazioni finanziarie per i servizi erogati sulla falsariga delle assicurazioni di viaggio. L’Embedded Finance è un servizio verticale che permette una cooperazione stretta tra quelle banche che decidano di erogare i propri servizi finanziari tramite la tecnologia di Solaris SE e delle altre fintech.
Tutto sta nell’intercettare le esigenze dei clienti per migliorare i servizi offerti. Davide Genovesi, Sales Team Lead Italia di SumUp ha spiegato come negli ultimi anni si siano trasformate le abitudini di acquisto e pagamento degli italiani. I servizi di pagamento di SumUp sono cresciuti del 20 percento nel biennio 2021-2022, con uno scontrino medio di 40 euro, in continua diminuzione: questo testimonia la familiarità del consumatore per l’uso delle carte SumUp, sempre più percepite come sostituto del contante che come alternativa alle carte di credito.
Il POS di nuova generazione
Iniziative di Governo, come il credito di imposta e il cashback di Stato hanno favorito questa trasformazione nelle abitudini, che si estende anche ai servizi di pagamento contactless attivati direttamente via smartphone. Genovesi ha sottolineato come i costi di commissione per i negozianti siano piĂą che compensati dal valore aggiunto della gestione elettronica della cassa: minori tempi di deposito, soprattutto in uno scenario di desertificazione finanziaria, con le filiali bancarie sempre meno presenti, e maggiore controllo sulla contabilizzazione delle transazioni.
Cooperazione e competizione: convergere prima delle Big Tech
Secondo Camilla Cionini Visani, vi è un aumentato interesse da parte delle banche tradizionali per capire quali soluzioni e opportunità offerte dal Fintech possono essere integrate. Italia Fintech organizza approfondimenti per favorire la diffusione dell’innovazione nel settore: la complessità da affrontare è proprio nell’integrare le nuove soluzioni con strutture organizzative e sistemi informatici consolidati.
Alcune banche si sono spinte fino ad operare nel Corporate Venture Capital: è ad esempio il caso di Banca Valsabbina, che ha rilevato la startup Prestiamoci, per includere i suoi servizi in white label alle altre banche, che possono così erogare il servizio con il proprio marchio.
Resta il nodo della condivisione dei dati, che la PSD2, la seconda direttiva europea sui servizi di pagamento, aveva cercato di avviare. L’Open Banking, che prevede la cessione dei dati dei clienti bancari ai terzi erogatori di servizi, non è riuscito del tutto a permettere alle startup Fintech di accedere a queste informazioni. Una delle cause è la resistenza da parte delle banche a condividere i dati presidiati. La PSD3, appena varata, dovrebbe affrontare questo problema, spostando l’approccio da Open Banking a Open Finance e ampliando il set di dati condivisi: un’ipotesi è che possa crearsi un mercato del dato, dove un compenso economico per le banche cedenti possa riallineare questa cooperazione.
In sintesi, quella tra banche e Fintech resta la strada privilegiata per l’innovazione: la simbiosi permette vantaggi reciproci, a patto di riuscire a parlare la stessa lingua e a comprendere vincoli e utilità della controparte. Il grande interrogativo è sui tempi di diffusione di questo approccio. Questa integrazione non è un concetto nuovo e il tempo ad attuarla può ridurre i benefici ottenuti.
In particolare, tanto banche quanto Fintech potrebbero trovarsi a dover affrontare la concorrenza delle Big Tech, forti tanto sul lato tecnologico quanto su quello delle dimensioni del mercato servito. Emblematico il caso di Apple, che negli ultimi mesi ha fatto il suo ingresso nel settore offrendo una gamma di servizi finanziari ai propri clienti. Negli Stati Uniti, l’azienda di Cupertino ha iniziato a offrire un conto risparmio in collaborazione con Goldman Sachs. Questo servizio, che si aggiunge ai servizi di pagamento Apple Pay e di credito al consumo, Apple Pay Later, ha raccolto depositi per un miliardo di dollari nei primi quattro giorni. L’interrogativo per il Fintech europeo ed italiano è se e quando questi servizi potrebbero arrivare nei nostri mercati. Non ci sono motivi per cui il progetto di Apple non possa essere replicato dalle altre Big Tech come Google o Amazon che possono contare su una platea gigantesca, alla quale riescono a offrire esperienze di uso di alto livello. Uno scenario simile potrebbe trasformare un’opportunità in una minaccia per banche e Fintech che non riuscissero a cogliere l’occasione in tempo.