- 10/02/2020
Sostenibilità e innovazione, i due elementi chiave che guideranno lo sviluppo economico e sociale del futuro, in un percorso che vedrà protagonisti e alleati la finanza e il fintech. E' questo lo scenario su cui si è focalizzato l'evento “Finanza sostenibile e fintech: progresso e innovazione”, organizzato da UBI Banca in collaborazione con Fintastico, la piattaforma in cui trovare tutte le ultime novità e i servizi della galassia fintech, nata per aiutare persone e aziende a capire la tecnologia e a scegliere le soluzioni più adatte ai propri bisogni. A confrontarsi sul tema, giovedì 6 febbraio a Milano, si sono dati appuntamento i principali player del mondo finanziario, dell’industria e dell’ambiente accademico per leggere la situazione esistente ma soprattutto gli scenari futuri sotto diversi punti di vista.
“La sostenibilità non è più un'opzione, ma è la chiave per garantire il futuro alle nostre aziende, perché è in atto un rapido processo di trasformazione in cui le imprese e le banche rivedono modelli di business e processi organizzativi per orientarli verso uno sviluppo sostenibile, nella sua accezione più ampia di creazione nel tempo di valore economico coniugato con valore sociale e riduzione dei rischi ambientali”. Ha sgombrato il campo da qualsiasi lettura astratta e idealistica del tema Rossella Leidi, Chief Wealth & Welfare Officer e Vicedirettore Generale di UBI Banca. “La sostenibilità è qualcosa di concreto e deve per questo essere misurata ed espressa in KPI (Key Performance Indicator ovvero Indicatori chiave di prestazione, ndr). In un quadro di evoluzione di questa portata appare imprescindibile identificare trend tecnologici rilevanti. La contaminazione tra player con un know-how consolidato e nuovi attori può generare modelli di business completamente nuovi anche in industry più tradizionali, portando valore diretto al tessuto socioeconomico”.
Una mappa del fintech
“Fintech e sostenibilità rappresentano una sinergia dal potenziale sconfinato” ha esordito Marco Giorgino, Direttore Scientifico dell'Osservatorio Fintech&Insurtech del Politecnico di Milano che ha cercato di dare una definizione e una fotografia del fenomeno fintech “che è poi qualunque utilizzo di strumenti digitali applicato in ambito finanziario, sia che si parli di prodotti ma anche di processi interni e operations”. L'Osservatorio nel 2018 ha censito 1.210 start up (+66% sul 2016) che hanno ricevuto finanziamenti per 43,7 miliardi di dollari (+70%). Delle 326 start up italiane, le 149 analizzate fino a oggi, hanno raccolto investimenti per 468 milioni di euro.
Questa galassia come si muove? “Il 27% non ha nessuna collaborazione – ha proseguito Giorgino -, mentre il 27% collabora con altre startup, il 40% con attori finanziari e il 50% con attori non finanziari (possibili risposte multiple, ndr), quindi c'è ancora molto spazio per il confronto e la condivisione di obiettivi” tenendo conto anche dei plus che possono garantire, come “la possibilità di essere più veloci e conoscere meglio i clienti, la seamless experience, la capacità di valorizzare i dati e soddisfare nuove esigenze”. Sul versante della sostenibilità “la finanza digitale può essere d'aiuto nel raggiungimento di 13 dei 17 obiettivi stabiliti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite – ha precisato Giorgino – e per le banche e il sistema finanziario può essere un valido alleato nella valutazione degli investimenti, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, oltre che nella possibilità di avere maggiore inclusione finanziaria, in un percorso che va accompagnato”.
Rifondare l'ideologia e promuovere l'informazione
“Voglio parlare dell'elefante nella stanza, ovvero della trasparenza, senza cui non può esserci nessuna sostenibilità”. Partendo da questa lapidaria dichiarazione d'intenti, Paolo Sironi, membro IBM Industry Academy e Fintech Thought Leader per IBM Financial Service ha condotto l'uditorio in un affascinante percorso partendo dalla richiesta di “aiuto” di Alan Greenspan durante la crisi economica del 2009 rispetto alla necessità di rifondare l'ideologia di base del sistema economico.
“Le banche centrali – ha ricordato Sironi - sono intervenute con iniezioni di liquidità, puntando sulla grandezza dei soggetti, misura non sufficiente visto che i fatti hanno dimostrato che si deve avere anche varietà nel tessuto finanziario. L'Accademia ha portato avanti il concetto di finanza comportamentale, per riportare razionalità nei processi, ma anche questo non funziona. La regolamentazione si è indirizzata verso norme che piuttosto che essere punitive prediligono il concetto di trasparenza. E la digital innovation cerca di lavorare sul cliente, con un meccanismo di domanda che si contrappone a quello di offerta proposto dalle banche”. Un contesto in cui c'è asimmetria d'informazione, perché “se non si aiuta l'investitore a fare un salto di qualità sul versante della consapevolezza, non si può andare avanti. E' un tema biologico, la parte pull è più semplice da processare per il nostro cervello, la parte push è la più difficile".
“Se non comprendiamo questo – ha puntualizzato Sironi – non potremo creare un modello di business che abbia impatto reale”. Lo scenario ipotizzato? Le banche si devono trasformare in contenitori di servizi di consulenza basati sulle competenze e su un nuovo modo di approcciare il cliente “dalla client semplicity alla human semplicity – ha osservato Sironi -, in un nuovo modello di business in cui siano presenti e protagonisti l'incertezza e il tempo”. La finanza negozia incertezza sul tempo ma ha un problema: la moderna teoria dei portafogli è atemporale ed esogena. Ai nostri investimenti serve invece avere uno scopo e un obiettivo nel tempo. “Sincronizziamo gli investimenti e il pianeta – conclude Sironi -. Come? Con un transparent financial planning e investimenti basati su un obiettivo”.
Parla l'asset management
Come conciliare sostenibilità e profitto? E i tanto citati ESG (Environmental, Social, Governance ovvero tutte quelle attività legate all'investimento responsabile – IR - che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance), sono una moda o una realtà? Ha provato a dare una risposta a questo quesito Fabrizio Fiorini, Responsabile degli Investimenti e Vice Direttore Generale Pramerica SGR. “L'integrazione di ESG nei processi di investimento è lo sviluppo di un percorso cominciato 50 anni fa” ha osservato. Bisogna infatti risalire al 1972, al Piano di Stoccolma, elaborato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente, per arrivare nel 2015 all'Agenda 2030. Nel 2006 le Nazioni Unite hanno lanciato i Principles for Responsible Investment (o PRI) per favorire la diffusione dell’investimento sostenibile e responsabile tra gli investitori istituzionali. “A settembre 2019 – ha proseguito Fiorini – si annoverano oltre 2.600 firmatari a livello globale (c'è anche Pramerica). Qual è l'impegno richiesto? Incorporare gli ESG nelle scelte di investimento ed essere attivi nella gestione delle partecipazioni. Dal punto di vista della domanda i fondi sostenibili europei hanno archiviato il 2019 come anno record, a +56% contro il +18% dell'intero universo fondi. Gli ESG sono una necessità sociale che il mondo deve capire in fretta: se sis indirizzano risorse economiche verso aziende più attente a tematiche ESG si crea infatti un vantaggio a lungo termine per tutti e si ottiene anche un premio immediato per investitori e aziende”.
Non bisogna ovviamente dimenticare, come sottolineato da Simone Chelini, Responsabile ESG&Strategic Activism Eurizon, che quando si parla di sostenibilità si parla anche di creazione di valore per i propri clienti. La finanza, insieme a istituzioni private e istituzioni pubbliche, deve lavorare per passare dagli attuali squilibri a un circolo virtuoso e sostenibile. E se i teorici dell'economia sono arrivati all'assunto che ciò che è positivo per la società lo è anche per il business (Porter e Kramer nel 2011) “le evidenze empiriche sembrano confermare che le aziende con business sostenibile nel tempo migliorano i propri fondamentali e quindi investire su di loro permette di generare rendimenti maggiori. C'è un problema, ed è quello della disomogeneità dei rating ESG e del dialogo tra due linguaggi, finanza e sostenibilità”.
Il nodo dei dati
Ma il fintech? Meglio affidarsi agli algoritmi o procedere all'antica, carta e penna? “Sono un cinico e non mi fido – ha dichiarato Angelo Meda, responsabile azionario Banor SIM – e sulla base della mia esperienza ritengo che il tema dei dati sia cruciale e che ora come ora non sia possibile utilizzare solo una delle due modalità, devono convivere. Ai gestori e agli analisti consiglio sempre di pensare fui dagli schemi, agli investitori di fare attenzione a distinguere l'etica (sfera personale) dagli ESG (qualcosa che va fatto per creare valore) e di informarsi”.
Ma i dati, da soli, non bastano. Bisogna sapere mapparli e gestirli “e le aziende oggi non sono in grado di farlo – ha osservato Fabrizio Fiocchi, Fondatore e CEO ESGeo -. Il problema infatti è l'integrazione dei diversi dati, la disponibilità delle aziende a renderli pubblici, la mancanza di processi tracciati e dunque ricostruibili nella stesura dei bilanci sostenibili, la mancanza di consapevolezza del risk management di questi valori. Serve un workflow integrato sulla sostenibilità e dei tool che lo permettano”.
Possibili soluzioni sono quelle di affidarsi a strategie guidate dall'intelligenza artificiale, come quelle proposte e raccontate da Tommaso Migliore, CEO di MDOTM “che permettono un vantaggio competitivo, avendo un vantaggio tecnologico sul mercato dei capitali perché rispetto a un modello quantitativo possono muoversi ed evolvere”.