- 14/03/2018
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Si possono amare o odiare, ma le criptovalute e la blockchain sono un fenomeno troppo grande per essere ignorato.
La posizione dei "saggi di Omaha" Warren Buffett e Charlie Munger che ancora controllano la Berkshire Hathaway è poco entusiasta. Parlando del mondo delle criptovalute, Buffett è stato pungente. "Posso dire quasi con certezza che faranno una brutta fine", ha dichiarato a gennaio. Munger è, se possibile, ancora più ostile, definendo in particolare il bitcoin come "totalmente asinino" e un "veleno nocivo". Queste dichiarazioni lasciano ben poco spazio ai dubbi.
Ovviamente, considerando il bitcoin come un potenziale investimento, le autorità di controllo dei mercati hanno preoccupazioni leggermente diverse. Le autorità di regolamentazione del mercato sono interessate a proteggere gli investitori e hanno iniziato a mettere in guardia rispetto ai pericoli che si corrono con le criptovalute.
Oltre ai dubbi sollevati dalle criptovalute per quanto riguarda il riciclaggio di denaro e il traffico di stupefacenti, le banche centrali rischiano a causa delle criptovalute di perdere il loro monopolio di fornitori di denaro. Molti economisti mettono in guardia rispetto alle serie implicazioni per la stabilità finanziaria nel caso che le banche centrali perdano il controllo delle leve che influenzano il potere di acquisto nell'economia.
È interessante notare che stanno emergendo risposte differenti a queste domande e che le banche centrali si stanno dividendo in falchi e colombe.
Tra i maggiori detrattori ci sono i cinesi. L'anno scorso, la People's Bank of China (PBOC) ha chiuso gli scambi di bitcoin e bloccato le ICO. Usando un giro di parole troppo diretto per i banchieri centrali occidentali, Pan Gongsheng, un vice governatore della PBOC, ha dichiarato a dicembre: "Come ci ha insegnato Keynes, 'il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile'. C'è solo una cosa da fare: sedersi sulla riva del fiume e vedere il corpo del bitcoin passare prima o poi".
La Russia, ovviamente, ha una visione simile. Elvira Nabiullina, governatore della banca centrale russa, ha dichiarato a dicembre che "non legalizzeremo schemi piramidali" e "siamo totalmente contrari al denaro privato, non importa se in forma fisica o virtuale".
Le colombe sono numerose, tuttavia. La Banca del Canada ha osservato che la distributed-ledger technology che sostiene il bitcoin potrebbe rendere il sistema finanziario più efficiente, e sta esaminando se, al momento opportuno, sia il caso di emettere la propria moneta digitale per le transazioni al dettaglio. La Banca d'Inghilterra è ugualmente intrigata dalla possibilità, respingendo le preoccupazioni che le valute digitali rappresentino un rischio per la stabilità finanziaria e sottolineando che la tecnologia sottostante "potrebbe avere molti altri usi nel sistema finanziario e potrebbe essere una piattaforma utile per alimentare una valuta digitale della banca centrale". Entrambe le banche stanno studiano attivamente l'argomento, e le loro opinioni potrebbero essere meglio descritte come maoiste, della serie "lasciate che mille fiori sboccino".
Alla luce di queste dichiarazioni, è stato coraggioso Agustín Carstens, il nuovo direttore generale della Bank for International Settlements, la banca centrale delle banche centrali, a scegliere il tema del bitcoin per uno dei suoi primi discorsi importanti. Potrebbe Carstens, l'ex governatore di lunga data della Banca del Messico, riuscire a trovare una posizione intermedia tra i falchi e le colombe, tra i cinesi desiderosi di controllo e i canadesi compiacenti?
L'argomentazione di Carstens è partita dai principi, cercando di definire il denaro e quindi di capire fino a che punto possono arrivare le valute digitali. I tre criteri, ci ricorda, sono che una moneta agisce come un'unità di conto, un mezzo di pagamento comune e una riserva di valore.
Pochi beni, se non addirittura nessuno, sono quotati in bitcoin, che viene usato molto raramente nelle transazioni e ha costi per lo più proibitivi. Per quanto riguarda l'essere una riserva di valore, la volatilità dei prezzi delle criptovalute li rende, finora, un investimento altamente rischioso. "Se le criptovalute possono anche fingere di essere delle valute", conclude Carstens, "non rispettano però le definizioni di base dei libri di testo". Inoltre, senza "backup istituzionali, forniti al meglio da una banca centrale", i nuovi cripto-asset mettono in pericolo la fiducia nel valore fondamentale e nella natura del denaro. In questo modo Carstens si è posizionato saldamente all'interno del gruppo dei falchi.
Carstens lancia un'obiezione ambientale, per una buona misura: l'elettricità utilizzata nel processo di estrazione dei bitcoin equivale al consumo giornaliero di Singapore. A differenza dei singaporiani, che hanno il diritto di avere aria condizionata nel loro clima umido, l'attuale livello di consumo di energia per l'estrazione dei bitcoin è "socialmente dispendioso oltre che estremamente dannoso per l'ambiente".
Ha ragione Carstens ad essere così ostile o tra qualche anno ci si ricorderà di lui e di queste sue dichiarazioni come le dichiarazioni di un vecchio Re, pronto ad abdicare, seduto comodamente dal suo trono a Basilea che ordina la ritirata dal digitale? È troppo presto per dirlo. Nonostante le posizioni contrarie di Cina e Russia o quelle dei saggi di Omaha, non possiamo permetterci di mettere in soffitta le valute digitali o i "distributed ledgers".
Questo post è in parte la traduzione dell'articolo Hawk or dove? Bitcoin is forcing central banks to take sides.