- 09/01/2019
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Dopo aver ventilato la possibilità di un riconoscimento della validità giuridica dei documenti e dei dati certificati con l’uso delle DLT, illudendo la platea sempre più numerosa dei soggetti interessati alle potenzialità di tali tecnologie, ad oggi il Governo ha tradito le aspettative.
Il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14.12.2018 del Decreto Legge 135/2018, infatti, non riporta più alcun riferimento alle DLT (Distributed Ledger Technology) ed alla loro validità giuridica.
Cosa prevedeva la norma riportata nelle bozze del decreto
Dopo aver diffuso la bozza arrivata sul tavolo del Consiglio dei Ministri per l’approvazione il 15 ottobre scorso, che conteneva una norma di iniziativa del MISE in cui si parlava di un’equivalenza di validità giuridica tra documenti e dati certificati con l’uso delle DLT e quelli certificati con l’uso di altre tecnologie, risultando evidente l’eccessiva generalità dell’aggettivo “altre”, era stata emanata un’ulteriore bozza, in data 3 dicembre, che prevedeva che la condivisione di un documento informatico con l’uso di DLT producesse gli stessi effetti giuridici della validazione temporale elettronica, di cui all’art. 41 del Regolamento UE n. 910/2014 (eIDAS).
Con tale limitazione, pareva che il Governo rivelasse il proprio timore a compiere quel passo verso il riconoscimento nel sistema giuridico italiano di un fenomeno tecnologico innovativo, dal potenziale smisurato e dalle applicazioni apparentemente illimitate ormai in piena espansione a livello mondiale ed europeo, ma che, certamente, presenta non poche ombre.
Se la versione della norma pubblicata nella bozza discussa dal Consiglio dei Ministri a ottobre, in merito alla quale era stato anche rilasciato un comunicato stampa, risultava alquanto semplicistica rispetto all'argomento, la versione del 3 dicembre appariva, invece, più precisa, ma anche molto più limitante.
Le limitazioni derivanti dal testo riportato nella bozza del 3 dicembre 2018
Attraverso la comparazione con gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’art. 41 del Regolamento UE n. 910/2014 (eIDAS), la norma lasciava dedurre che le informazioni registrate con DLT e, in particolare, su blockchain, avrebbero potuto essere utilizzate in sede giudiziale, ma seguendo pedissequamente l’efficacia giuridica della validazione temporale elettronica, che si differenzia in:
- per quella qualificata, cioè caratterizzata da requisiti specifici, come specificato nel comma 2 dell’art. 41 e rilasciata dai prestatori dei servizi fiduciari qualificati, come previsto all’art. 42, la presunzione di accuratezza della data e dell’ora che indica e di integrità dei dati ai quali tale data e ora sono associate ha l’effetto di invertire l’onere della prova, ribaltando sul soggetto contro cui è prodotto il documento informatico l’onere di dimostrare la non veridicità della data e dell’ora indicate nella validazione stessa.
- per quella non qualificata, di cui al co. 1 dell’art. 41, l’onere probatorio in caso di contestazione dell’attendibilità della data e dell’ora ad esse collegate e l’integrità dei dati contenuti, ricade sempre sul soggetto che produce le informazioni stesse.
La necessità dell'intervento dell'AgID
Il terzo comma della norma in bozza, infine, prevedeva che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, l’Agenzia per l’Italia Digitale avrebbe dovuto individuare gli standard tecnici che le tecnologie basate su registri distribuiti avrebbero dovuto possedere ai fini della produzione degli effetti giuridici esaminati.
Tale comma, dunque, faceva presagire un ulteriore allungamento dei tempi, oltre a instillare molti dubbi sull'elevato grado di ingerenza delle istituzioni nello sviluppo stesso della tecnologia.
Il timore di restare ancora più indietro
Con la pubblicazione di un decreto che assolutamente non affronta l’argomento, ciò che appare evidente è che la possibilità di avere almeno un primo tentativo di inquadramento giuridico delle tecnologie fondate su registri distribuiti slitterà ulteriormente, lasciando l’Italia indietro rispetto alle realtà internazionali che già hanno sviluppato blockchain che si occupano di certificare, ad esempio, filiere di vario tipo.
L’Italia rischia, inoltre, di trovarsi alquanto in ritardo rispetto alle indicazioni fornite dall’Europa, che con le risoluzioni del Parlamento europeo (2016/2007 (INI) e PROV(2018)0373) ha già evidenziato da tempo il potenziale della DLT di accelerare, decentrare, automatizzare e standardizzare i processi basati sui dati ad un costo inferiore ed ha elencato i numerosi vantaggi derivanti dall'utilizzo di tali tecnologie (riduzione costi di intermediazione, rafforzamento dell'autonomia dei cittadini, democratizzazione dei mercati dell’energia con nuove opportunità per l’economia circolare), nonché le numerose possibili applicazioni (trasporti, settore sanitario, catene di approvvigionamento, istruzione, diritti d’autore, settore finanziario).
Già nel nostro precedente articolo, che analizzava la prima stesura della norma contenuta nella bozza del Decreto del 15.10.2018, avevamo evidenziato che sicuramente sarà complicato formulare una disciplina normativa che illumini in modo soddisfacente gli angoli bui di questa rivoluzione digitale nata, è necessario ricordarlo, proprio dal rifiuto di un controllo istituzionale.
Ciò che è certo, però, è che il Legislatore non potrà semplicemente evitare di occuparsene perché, per quanto complesso, il tema sembra destinato ad interessare sempre più la vita di tutti.
Si attende ora la conversione del Decreto, nella speranza che in tale sede trovino nuovamente spazio norme relative al riconoscimento giuridico dell’utilizzo delle DLT e che si possa, così, pensare con maggiore concretezza al percorso di decentralizzazione delle certificazioni e disintermediazione che queste tecnologie ci possono offrire.