- 01/09/2021
Oggi affrontiamo un argomento tra i più 'caldi' del periodo: Criptovalute e Partita IVA.
Di criptovalute si sente parlare sempre più spesso, anche nel quotidiano; tuttavia, è davvero difficile poter fornire una definizione chiara ed univoca di questo termine.
Le criptovalute, infatti, hanno una natura mista, che deriva dall’ambito in cui vengono utilizzate e dallo scopo che devono raggiungere. Basti pensare che, a seconda dell’uso, l’utente potrebbe, di volta in volta, far assumere alla criptovaluta le caratteristiche specifiche di una moneta, di un metodo di pagamento, di una valuta estera o di un titolo.
Di certo c’è che le criptovalute non rappresentano una moneta ‘tradizionale’, bensì una moneta virtuale, citando il Dott. Federico Migliorini, commercialista ed esperto in pianificazione fiscale internazionale e tutela del patrimonio: “Fondata sull’accettazione volontaria della stessa da parte degli operatori del mercato, senza un proprio corso legale. Possiamo dire, quindi, che si tratta di una sistema di valuta alternativo e decentralizzato”.
In Italia, ancora oggi, non vi sono disposizioni fiscali specifiche che regolamentino le criptovalute e, per questo motivo, si è generata molta confusione sia in relazione alla loro gestione, sia rispetto alla tassazione e alla dichiarazione di eventuali plusvalenze. Difatti, alcune persone sono indotte a credere che, in mancanza di una normativa vigente in merito, si possa evitare di rendicontare all’Agenzia delle Entrate i ricavi prodotti dalle criptovalute. Mentre altre ancora pensano di dover necessariamente disporre di una Partita IVA per poter incassare le plusvalenze stesse.
Difatti, alcune persone sono indotte a credere che, in mancanza di una normativa vigente in merito, si possa evitare di rendicontare all’Agenzia delle Entrate i ricavi prodotti dalle criptovalute. Mentre altre ancora pensano di dover necessariamente disporre di una Partita IVA per poter incassare le plusvalenze stesse.
Andiamo per punti
Nella normativa italiana non c’è un paragrafo specifico che confermi l’obbligo di versare imposte allo Stato per la maturazione di plusvalenza da criptovalute. Tuttavia, secondo il Fisco, le tasse sulla plusvalenza da cripto sono dovute. La ratio che sta dietro a questa conclusione è quella per cui l’Agenzia Entrate paragona le criptovalute a valute estere.
L’Agenzia delle Entrate si esprime specificatamente in tal senso all’interno della risoluzione della Direz. Centr. AdE 72/E/2016 e nella risposta all’interpello n. 956-39/2018 della Direz. Reg. Lombardia.
A questi due documenti si rifanno la maggior parte dei professionisti e degli enti, praticando quindi una via cautelativa.
Di fatto, però, le criptovalute non possono essere considerate, per natura, come valute estere. Su questo punto si esprime in modo molto chiaro anche la Corte di Giustizia UE con una sentenza cruciale: la sentenza Hedqvist, in causa C-264/14, del 22.10.2015.
Questa sentenza, però, chiarisce solo la natura delle criptovalute, specificando la loro incompatibilità con la valuta estera.
Citando Milano Finanza: “Se anche si dovesse possedere una criptovaluta quotata 500.000 € sulle piattaforme di scambio, non è detto che il titolare della criptovaluta sia in grado di spenderla o di convertirla, perché non esiste in capo a nessuno un obbligo, né legale né contrattuale, di ricevere queste criptovalute in pagamento, né di acquistarle. Se, invece, dispongo di una somma in dollari o in sterline, nei Paesi in cui queste valute hanno corso legale, ogni operatore economico sarà obbligato ad accettarle come mezzo di pagamento e di estinzione di un debito”.
Come possiamo notare, la sentenza della Corte di Cassazione non si espone né sulla questione “imposte dovute a seguito di plusvalenza”, né su criptovalute e Partita IVA.
Come dichiarare le plusvalenze da crypto?
La prassi odierna ci insegna a rendicontare le plusvalenze da criptovalute all’interno del quadro RW del Modello Redditi.
Per la mancata compilazione del quadro RW - dove, appunto, vanno inserite le attività finanziarie e gli investimenti esteri - è prevista una sanzione fissa di 258 euro, a patto che l’omissione venga sanata entro un termine massimo di 90 giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Se, però, si sfora questo termine, si passa a sanzioni molto più gravi, che oscillano dal 3 al 15% degli importi non dichiarati.
Per di più, queste percentuali sono raddoppiate se le attività estere detenute dovessero essere localizzate in Paesi posti all’interno della 'black list'. Dunque, in quest’ultimo caso, ovvero se le somme risultano detenute in un ‘paradiso fiscale’, scatta automaticamente la presunzione che tutte le somme non dichiarate siano anche frutto di evasione fiscale.
Quindi, è molto importante farsi assistere da professionisti che conoscano il settore in modo approfondito, come anche le norme di supporto al contribuente, nel dubbio puoi sempre dare un'occhiata al nostro sito.
Infatti, nel nostro ordinamento è presente una norma che mira ad impedire che un contribuente subisca l’imposizione di sanzioni, nel caso in cui le violazioni delle norme fiscali siano dovute a gravi incertezze normative. L’art. 10 comma 2 dello Statuto del contribuente (L.n. 212/2000) stabilisce che non debbano essere erogate sanzioni quando la violazione dipende da quelle che vengono definite “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria”.
A questo proposito, non si può negare che, nel settore delle criptovalute, le “obiettive condizioni di incertezza” sussistano tutt’oggi. Difatti, sebbene il fenomeno sia noto ormai da più di un decennio, in Italia, in materia di fisco e tributi, si naviga ancora a vista.
Del resto, le criptovalute sono state concepite per non essere regolamentate, anzi, per l’appunto, per sfuggire ai lacci di ogni tentativo di regolamentazione stringente.
Conclusioni
Proviamo, a questo punto, a riassumere i principali concetti sul tema “Criptovalute, Partita IVA e tassazione delle plusvalenze” in sei punti fondamentali:
- Le persone fisiche che detengono monete virtuali sono obbligate alla compilazione del Quadro RW della dichiarazione dei redditi (qualsiasi sia l’importo). Unica eccezione per le criptovalute detenute in wallet gestiti da exchange italiani o in caso di detenzione di chiavi private offline detenute da residenti in Italia.
- L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste a prescindere dalla realizzazione di un reddito imponibile nel periodo di imposta. Ciò avviene in quanto il quadro RW esprime la potenzialità di produrre reddito, non se tale reddito è stato prodotto, perché il reddito prodotto va indicato nel Quadro RT.
- Le criptovalute non sono soggette ad IVAFE, perché questa imposta si applica esclusivamente a depositi di natura bancaria.
- Non si applica la soglia di esonero di monitoraggio di 15.000 euro prevista per depositi e conti correnti bancari.
- L’imposta del 26% sulle plusvalenze si paga solo in caso di cashout (prelievo) al verificarsi della condizione di giacenza superiore a 51.645,69 (somma di tutti i wallet) per almeno 7 giorni lavorativi contigui nel periodo di imposta.
Il fisco italiano, difatti, considera il cashout come conversione di valuta ordinaria estera (in quanto assimila le criptovalute alle valute estere). Il 26% di imposta viene pagato nel momento in cui converto le cripto e, così facendo, le riverso in euro nella mia disponibilità facendo un prelievo dal wallet.
Esempio:
Se ho una carta collegata al mio conto di criptovalute, la cui giacenza non supera questa condizione, e faccio del cashout, non devo pagare le imposte. - Il contribuente è responsabile della conservazione di tutta la documentazione presente provante e descrivente il proprio investimento. Dato che non esiste una disciplina formale, tale documentazione sarà composta da ogni atto, fatto, report a sostegno delle operazioni compiute.
Grazie alla collaborazione con Fiscozen, potete richiedere una consulenza fiscale gratuita e senza impegno dal form qui sotto.