- 31/12/2021
Per affrontare il tema della finanza alternativa, è necessario fare un passo indietro e descrivere il sistema finanziario italiano. Nel nostro Paese le banche ricoprono un ruolo di primo piano nei rapporti con le imprese e vi è una limitata apertura al mercato dei capitali: per questo motivo, con riferimento all’Italia spesso si sente parlare di finanza “banco-centrica”.
Si tratta di un modello strutturalmente debole e fortemente pro-ciclico: ciò significa che tende ad ampliare l’offerta di prestiti alle imprese nei periodi di espansione economica e a razionarla nelle fasi negative. Infatti, durante una recessione aumenta il rischio di insolvenza delle imprese, per cui le banche applicano criteri di finanziamento più selettivi, rendendo difficile l’accesso al credito per imprese in difficoltà.
Negli anni della crisi del 2008 la struttura finanziaria delle imprese italiane incentrata sul credito bancario ha palesato i propri limiti e criticità: l’offerta di credito più stringente da parte delle banche ha rappresentato un freno allo sviluppo di molte PMI italiane, specialmente di quelle ad alta intensità di innovazione.
Dall’altro lato, grazie anche allo sviluppo del settore fintech, sono emerse soluzioni alternative di accesso al credito che vanno sotto il nome di finanza alternativa, in quanto rappresentano un’opzione complementare al canale bancario.
Facendo leva sull’innovazione tecnologica e sulla disintermediazione creditizia, la finanza alternativa si pone come obiettivo quello di far fronte al fabbisogno di liquidità del sistema mediante una maggiore apertura al mercato dei capitali.
Questo punto si è rivelato cruciale durante l’emergenza Covid-19, durante la quale molte imprese si sono ritrovate a corto di liquidità; in tale occasione, la finanza alternativa ha svolto un ruolo fondamentale nell’offrire un paniere più ampio di strumenti di accesso al credito, venendo in soccorso al tradizionale circuito bancario.
Canali di finanza alternativa
Per un’analisi approfondita di questo mercato è possibile far riferimento al 4° Report sulla Finanza Alternativa per le PMI, presentato a novembre 2021 dal Politecnico di Milano. L’obiettivo della ricerca è analizzare le principali fonti di finanziamento alternative al credito bancario, attraverso statistiche e ricerche di mercato che confermano il ruolo sempre più rilevante di questi nuovi canali: basta pensare che solo nel primo semestre 2021 la finanza alternativa ha fornito alle imprese italiane liquidità per € 2 miliardi, con un incremento del 91% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sono oggetto di analisi diversi canali di accesso al credito: dal semplice smobilizzo di fatture commerciali, al ricorso al debito o all’utilizzo di fonti di finanziamento interne tramite aumento di capitale, fino ad arrivare a strumenti innovativi come i token digitali.
Prima di passare in rassegna tutte le alternative, è necessario fare chiarezza sulla differenza fra debito e capitale proprio. Il primo prevede il pagamento periodico di interessi e il rimborso a scadenza della somma erogata, senza concedere nessun tipo di diritto societario; al contrario, il ricorso all’equity non è soggetto a remunerazione obbligatoria (collegata ai risultati aziendali e alla decisione di distribuire o meno i dividendi), ma incide sulla composizione del capitale proprio e quindi sugli equilibri societari fra gli azionisti.
Invoice Trading
Si tratta di una soluzione che prevede la cessione di fatture commerciali a investitori professionali attraverso piattaforme web.
Questo strumento è fra i più utilizzati dalle PMI dal momento che permette loro di smobilizzare il capitale operativo ottenendo liquidità in tempi brevi, facendo leva sui rapporti di fornitura vantati nei confronti di altre aziende.
La vendita delle fatture avviene su piattaforme fintech che utilizzano tecnologie di ultima generazione (Intelligenza Artificiale e Big Data) per valutare il merito creditizio dell’azienda cedente in modo rapido e autonomo, consentendo un notevole risparmio di tempo.
Per ottenere i finanziamenti, non sono richieste garanzie o collateral e i costi del servizio e i tassi applicati sono trasparenti, così che l’impresa può facilmente confrontarli con quelli di altre piattaforme per scegliere l’alternativa più conveniente. Inoltre, non sono previste spese di istruttoria o altre commissioni. Dal lato dell’investitore, la remunerazione è rappresentata dalla differenza tra il prezzo di acquisto del credito e il corrispettivo controvalore.
Un ulteriore vantaggio è che la cessione delle fatture avviene pro-soluto, per cui il creditore cedente non risponde della mancata estinzione del debito commerciale; al contrario, l’anticipo di fatture tramite una banca è spesso pro-solvendo e l’azienda rimane responsabile dell’eventuale inadempienza del debitore ceduto.
Tutte queste ragioni avvalorano la somma di € 1,24 miliardi mobilitata dalle piattaforme di invoice trading italiane nel 2021, con un incremento del 7,5% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, si registra un rallentamento per i primi sei mesi di quest’anno, legato principalmente ai ritardi nell’approvazione dei bilanci 2020, fortemente colpiti dalla pandemia.
I leader di mercato sono le piattaforme Fifty con un volume di circa € 500 milioni e Workinvoice che ha raccolto € 166 milioni.
PRO:
- Rapidità;
- Nessuna garanzia richiesta;
- Pro-soluto.
CONTRO:
- Minore potere contrattuale nei confronti di investitori professionali.
Direct lending
Passando al ricorso al debito, questo canale prevede l’erogazione diretta di prestiti alle imprese da parte di soggetti non bancari, in particolare fondi di credito.
Per questo segmento è difficile quantificare in modo preciso il contributo all’economia reale poiché le informazioni a riguardo non sono pubblicamente disponibili; i dettagli vengono rilevati l’anno successivo all’operazione, dopo la pubblicazione del bilancio oppure da comunicati stampa.
Detto ciò, si stimano flussi pari a € 570,7 milioni negli ultimi 12 mesi e prospettive di crescita per i futuri mesi.
PRO:
- Rapidità di erogazione del finanziamento;
- Elevata personalizzazione delle condizioni contrattuali.
CONTRO:
- Costi più elevati in termini di tasso di interesse.
Minibond
Le imprese possono ricorrere al mercato dei capitali per l’emissione di minibond, ossia titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie per importi fino a € 50 milioni. Tipicamente emessi da PMI e sottoscritti da investitori professionali, offrono una remunerazione contrattualmente stabilita attraverso il pagamento di cedole.
È frequente che le imprese emittenti si avvalgano di consulenti esterni per definire le caratteristiche generali dell’emissione, nonché per individuare potenziali investitori. Recentemente il collocamento può avvenire anche su portali di equity crowdfunding, sebbene solo per titoli di Spa rivolti a particolari categorie di investitori.
L’introduzione di basket bond ha contribuito ad attirare l’attenzione di investitori professionali, in particolare stranieri, con tagli di investimento più elevati e che quindi difficilmente guarderebbero al mercato dei minibond. Un basket bond aggrega più minibond provenienti da imprese diverse che si accordano per organizzare emissioni congiunte e sincronizzate rispetto alle scadenze.
L’analisi conferma il trend crescente per questo mercato, sia in termini di nuove emittenti fra le PMI italiane, sia in termini di controvalore: 444 imprese hanno emesso minibond fino al 30 giugno 2021, raccogliendo risorse pari a € 455 milioni nei 12 mesi coperti dalla ricerca.
PRO:
- Possibilità per le PMI di ottenere visibilità sul mercato e presso investitori professionali.
CONTRO:
- Costi legati agli adempimenti normativi, soprattutto in merito alla comunicazione di una serie di informazioni.
Crowdfunding
Tradotto in italiano “finanziamento collettivo”, offre la possibilità di richiedere a una folla di individui fondi a supporto di un determinato progetto di natura economica, sociale, culturale o benefica, attraverso un’apposita piattaforma online.
L’obiettivo è sfruttare la rete sociale per permettere a più soggetti di prendere parte allo sviluppo di un’idea, fornendo contributi generalmente modesti e alla portata di tutti.
Viene fissato un target minimo di raccolta e, se raggiunto, colui che ha avviato la campagna riceverà il denaro e la piattaforma scelta incasserà una commissione sul capitale raccolto. In caso contrario, i fondi inferiori all’obiettivo possono essere accettati comunque (modello “take it all”) oppure vengono restituiti ai contribuenti (modello “all or nothing”).
I portali di crowdfunding sono classificati in base alla ricompensa offerta agli investitori in cambio del loro contributo economico al progetto:
- donation-based crowdfunding: la raccolta fondi è destinata a progetti no-profit, tipicamente beneficenza o iniziative artistiche e culturali, senza alcuna ricompensa per gli investitori.
- reward-based crowdfunding: campagne finalizzate a finanziare progetti in ambito artistico e culturale (come ad esempio film, album musicali, libri, videogame) in cambio di ricompense non monetarie.
- lending-based crowdfunding: conosciuto anche come “social lending” in quanto il finanziamento proviene da una pluralità di investitori, i quali ricevono un interesse sul capitale prestato e il rimborso di questo a scadenza.
- equity-crowfunding: in questo caso, i contribuenti sottoscrivono capitale di rischio attraverso portali autorizzati dalla Consob per supportare campagne di PMI e startup innovative. Ad oggi si contano 54 piattaforme operative, con una raccolta che ammonta a € 127,7 milioni negli ultimi dodici mesi.
Da sottolineare è la recente entrata in vigore del Regolamento europeo ECSP, il cui scopo è armonizzare a livello comunitario le regole di funzionamento dell’equity crowdfunding e del social lending. Le principali novità introdotte riguardano il sistema autorizzativo, le regole di vigilanza prudenziale, la trasparenza, la tutela degli investitori e la gestione dei conflitti di interesse.
PRO:
- Velocità e semplicità;
- Strumento di marketing per l’idea finanziata.
CONTRO:
- Tempi limitati per raccogliere i fondi;
- Possibilità di perdere autonomia decisionale.
ICOs e token offerings
In una Initial Coin Offering (ICO) la tecnologia della blockchain e le criptovalute vengono utilizzate per raccogliere capitali attraverso l’offerta di token digitali su Internet. Da questo punto di vista, le ICOs potrebbero apparire simili alle campagne di crowdfunding, ma ci sono due differenze sostanziali:
- per prima cosa non è necessaria una piattaforma che selezioni i progetti da pubblicare e scarti quelli meno affidabili;
- il secondo elemento distintivo deriva dalla peculiarità della tecnologia blockchain che, grazie alla sicurezza dei registri distribuiti, consente di disintermediare totalmente i sistemi di pagamento tradizionali.
Per finanziare un progetto, il team proponente offre sul mercato virtuale dei token che possono essere acquistati in cambio di criptovalute. Le informazioni riguardanti l’offerta sono contenute nel “white paper”, documento contenente i dettagli utili a un potenziale investitore per valutare il progetto. I token conferiscono a chi li acquista diritti di vario tipo: dal semplice diritto a far parte della community legata al progetto senza vantaggi economici, all’utilizzo di un prodotto o di un servizio e in alcuni casi il diritto può avere anche natura finanziaria, come la compartecipazione agli utili del progetto o la remunerazione e rimborso del capitale investito.
Il tema della “tokenizzazione” degli asset finanziari è di grande attualità, tanto che la Consob ha avviato una consultazione per studiare una possibile regolamentazione del collocamento di cripto-attività, anche se ancora non ha generato risultati in termini di nuove opportunità.
Negli ultimi mesi non sono state rilevate operazioni significative condotte da team italiani, mentre si stanno affermando i collocamenti di NFT (Non-Fungible Token) come strumento per raccogliere liquidità fra gli artisti, ma con ancora una limitata applicazione in ambito industriale.
PRO:
- Riduzione dei costi grazie alla disintermediazione.
CONTRO:
- Incertezza dovuta all’assenza di regolamentazione;
- Problemi connessi all’antiriciclaggio.
Private Equity e Venture Capital
Il private equity è un’attività finanziaria attraverso cui un investitore professionale rileva quote di capitale di rischio di un’impresa non quotata in Borsa, acquisendo azioni esistenti dai soci (buyout) o sottoscrivendo capitale di fresca immissione.
L’ambizione è contribuire attivamente alla crescita dell’azienda, per poi ottenere una plusvalenza al momento della dismissione della partecipazione (“exit”) con la cessione a terzi o la quotazione in Borsa.
Una peculiare sottocategoria del private equity è rappresentata dal venture capital, il cui target di investimento sono imprese in fase di costituzione (“seed”), in un settore ad alto potenziale di crescita, incluse le startup.
Gli attori di questo mercato sono fondi di investimento e business angel, ex titolari di impresa e piccoli investitori che a titolo personale supportano la crescita di startup e PMI.
Con riferimento alle statistiche pubblicate dall’associazione di riferimento AIFI, da luglio 2020 a giugno 2021 il flusso di investimenti è stato pari a € 1,22 miliardi; in particolare, il segmento early stage ha registrato una buona performance sia in termini di numero di operazioni (306 nel 2020), sia nelle risorse investite (€ 378 milioni nel 2020).
Le prospettive sono buone considerata la maggiore attenzione delle autorità a questa fascia di mercato: in particolare, la costituzione di CDP Venture Capital SGR – Fondo Nazionale Innovazione rappresenta un passo avanti per lo sviluppo dell’ecosistema venture capital in Italia.
PRO:
- Contributo degli investitori non solo economico, ma anche in termini di esperienza e direzione del business.
CONTRO:
- Soddisfazione di particolari requisiti per ottenere il finanziamento.
Conclusioni
Si conferma il ruolo sempre più importante della finanza alternativa come strumento per garantire liquidità addizionale al sistema. Infatti, sono sempre di più le imprese che ne riconoscono i vantaggi in termini di rapidità di tempi e diversificazione delle fonti di finanziamento.
Anche le autorità hanno dato un contributo significativo all’affermazione di strumenti di finanza alternativa: da un lato, sono state introdotte regole per definire il perimetro operativo, dall’altro l’adozione di misure ad hoc ha incentivato l’accesso al credito tramite questi nuovi canali. Sono un esempio le garanzie pubbliche per i minibond erogate da SACE, la nascita di CDP Venture Capital SGR e il credito d'imposta sulle spese legate alla quotazione.
Il mercato italiano è in fase di espansione, ma ci sono ancora notevoli margini di crescita; sono ancora molte le PMI che non hanno sperimentato strumenti di finanza alternativa, per cui si rivela opportuna un’azione di sensibilizzazione circa le nuove modalità di accesso al credito.
Dall’altro lato, sui conti correnti degli Italiani è immobilizzata liquidità per più di € 1,5 miliardi; queste risorse, se investite opportunamente, potrebbero contribuire al rilancio economico del Paese, sostenendone il tessuto produttivo e accelerando l’innovazione tecnologica.
La distanza rispetto agli altri Stati è soprattutto una questione di cultura degli imprenditori italiani: è ancora diffuso lo scetticismo nei confronti del mercato dei capitali e le imprese tendono a preferire il tradizionale canale bancario. In tale contesto, è necessario un salto culturale riguardo la gestione di impresa, lavorando sul rafforzamento delle conoscenze e competenze finanziarie delle PMI italiane.