- 12/07/2016
Ad oggi il perfezionamento di alcuni atti, gli atti pubblici, richiede – con varie modalità - l’intervento di una parte terza (es. Notaio) le cui dichiarazioni hanno il valore di certificare come “verità” erga omnes quanto dichiarato (sono le c.d. “Third Trusted Parties”).
Senza tali Third Trusted Parties, la società vivrebbe nell’incertezza più totale: di chi è questo immobile? Il denaro che ho inviato è stato ricevuto dalla giusta persona? Quando è avvenuta quella determinata operazione? Quanti BOT ho acquistato?
Oggi una nuova tecnologia, destinata a rivoluzionare il mondo degli scambi, è indirizzata a rendere non più necessarie le Third Trusted Parties per legittimare le transazioni: è la tecnologia blockchain (o, parimenti, la distributed ledger technology) che si basa su una nuova generazione di contratti: gli smart contracts; non solo: interessanti prospettive di analisi stanno ponendosi per quanto concerne gli strumenti monetari atti a conferire valore tangibile a tali tipologie di transazioni, come ad esempio le valute virtuali.
Gli smart contracts come elemento base della tecnologia blockchain
Secondo la tecnologia blockchain, le transazioni/gli accordi che vengono stipulati sono conclusi non per via di un contratto scritto, ma in un codice crittografico che al suo interno contiene i termini e le condizioni pattuite dalla parti, che quindi non sono in forma scritta ma digitale: gli smart contracts.
Le caratteristiche principali degli smart contracts, sono le seguenti:
- sono in forma digitale;
- i singoli articoli, i termini e le condizioni contrattuali esistono solo sotto forma di codici crittografici;
- questi “codici” possono essere letti non solo da persone, ma direttamente anche da hardware, quindi da oggetti (c.d. “Internet of Things”);
- sono irrevocabili: una volta “sottoscritto”, il relativo accordo non può essere risolto e/o modificato dalle parti fino alla completa esecuzione del contratto come originariamente voluto: il contratto si esegue in modo automatico.
Gli smart contracts sono i “mattoncini” di ogni “blocco” della “catena di blocchi” (il blockchain): in ogni blocco vengono impacchettati "n" smart contracts (cioè "n" codici crittografici). Successivamente, il blocco (“Blocco 1”) diviene definitivo e immutabile: non potrà mai essere cancellato né modificato. L’unica opzione ammissibile al fine di dare efficacia al complesso contrattuale è che si passi al blocco successivo (“Blocco 2”).
Ciò avviene mediante la soluzione di un complessissimo problema matematico che soltanto i c.d. miners, ossia operatori dotati di computer aventi un eccezionale potere computazionale possono risolvere.
In competizione tra loro, i miners cercano di risolvere il complesso problema nel più breve tempo possibile: il primo tra questi che vi riesce, valida il passaggio al blocco successivo (e riceve, come premio, una piccola fee). La corretta soluzione del problema, immediatamente verificata da tutti gli altri miners, legittima la registrazione del passaggio dal Blocco 1 al Blocco 2, identica, in ognuno dei registri condivisi (i “distributed ledgers”).
Ne consegue che, di blocco in blocco, è possibile ricostruire il “percorso” di un determinato flusso di valore (si tratti di valore monetario, titoli, etc.).
Le problematiche legali poste dagli smart contracts
Tuttavia, in merito agli smart contracts esistono alcuni ostacoli sotto il profilo legale che necessitano di esser considerati.
a) Efficacia e vincolatività degli smart contracts
La dimensione digitale degli smart contracts crea alcuni ostacoli e difficoltà in relazione alla efficacia e vincolatività dell’accordo. Si pensi alla necessità – affinché il codice costituisca un contratto in base alla governing law prescelta - che siano presenti gli elementi fondamentali che tale legge prevede come caratterizzanti un accordo contrattuale. Considerando quindi la legge Italiana, lo smart contract dovrebbe contenere gli elementi di cui all’articolo 1325 del codice civile.
In uno smart contract all’interno di una blockchain questi elementi risultano quantomeno di difficile individuazione e interpretazione: si consideri quali rilevanti difficoltà potrebbero sorgere per un giudice chiamato a pronunciarsi su vertenze di contratti che si presentano sotto forma di codice crittografico.
Per ovviare a tali problemi, alcune società (c.d. smart contracts solution providers) hanno sviluppato un modello - definito “split” contracting model - che riprende ampiamente aspetti funzionali propri di quei contratti ibridi, che sono sia leggibili da persone fisiche (come qualsiasi contratto in forma scritta) sia analizzabili da un software: i c.d. “Ricardian Contracts”. Lo “split” contracting model, similmente, usa la tecnologia per collegare immodificabilmente un contratto in forma scritta all’architettura propria degli smart contracts che “amministrerà” la parte “data-driven” del contratto testuale.
b) Forma e Sottoscrizione
Un tema che sicuramente deve essere considerato nello sviluppo dei contratti in forma crittografica concerne il rapporto tra tali tipologie contrattuali e le previsioni di legge relative alla necessità della forma scritta ad substantiam, o altre determinate perfection formalities prescritte per la costituzione di determinate garanzie (si pensi, per fare un esempio, all’iscrizione dell’ipoteca presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l’immobile).
Altro aspetto da valutare riguarda la modalità di sottoscrizione degli smart contracts e, conseguentemente, l’efficacia di tale sottoscrizione. Qualora la sottoscrizione avvenga tramite firma digitale, i.e. tramite la tecnologia crittografica basata sulla relazione chiave pubblica/chiave privata, tale sottoscrizione avrebbe la medesima efficacia di una scrittura privata e – pertanto – farebbe “piena prova” della provenienza delle dichiarazioni di chi ha sottoscritto, se non disconosciuta da quest’ultimo. Inoltre il titolare della firma elettronica, se intende disconoscere la paternità del documento, avrà egli stesso l’onere di fornire la prova che l’utilizzo del dispositivo di firma non è a lui riconducibile.
c) Le definizioni giuridiche oggetto di interpretazione
Spesso determinate definizioni e/o termini utilizzati nel drafting di un contratto scritto, hanno un particolare significato e/o accezione giuridica che per essere precisamente individuati necessitano di esser interpretati sulla base di principi interpretativi caratterizzati da un certo grado di “elasticità”, in base alla singola fattispecie concreta alla quale si riferiscono: si pensi a definizioni come le anglosassoni “material adverse change”; “best endeavours”; “bona fide” “reasonable endeavours” “best efforts”. Poiché tali formulazioni necessitano un giudizio (anche abbastanza discrezionale in alcuni casi) come sarebbe possibile declinarli univocamente in un codice crittografico?
d) Più lungo sarà la durata contrattuale, meno “smart” sarà il contratto
Gli smart contracts sarebbero estremamente utili per quei trasferimenti di valore caratterizzati dall’istantaneità dell’esecuzione, o in ogni caso da un brevissimo periodo tra il perfezionamento (“signing”) e l’esecuzione (“closing”) della transazione. Risulterebbe invece difficile, in quanto gli smart contracts sono immodificabili, collegare la vicenda del rapporto contrattuale a condizioni o avvenimenti esterni “declinandoli” crittograficamente al momento del perfezionamento del contratto, cioè “programmando” il codice in modo che l’accordo muti in relazione ad eventi successivi: in primis condizioni sospensive-risolutive e/o termination events.
Blockchain Valute Virtuali: la Risoluzione del Parlamento Europeo
Il campo dal quale la tecnologia blockchain si è sviluppata dimostrando le sue innumerevoli potenzialità, è quello delle Valute Virtuali (tra tutte ricordiamo gli ormai famosi bitcoin).
Uno degli strumenti utilizzabili quale elemento determinante il controvalore monetario della transazione connessa ad uno smart contract è la valuta virtuale; detto strumento di pagamento – ed i rischi ad esso connessi - sono stato oggetto di analisi sia da parte dell’Autorità Bancaria Europea (cfr. EBA Opinion on “virtual currencies” del 4 luglio 2014) che da parte della Banca d’Italia (cfr. Comunicazione del 30 gennaio 2015 – Valute Virtuali).
Recentemente, anche il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione 2016/2007 (INI) del 26.05.2016 in cui, sinteticamente, sono state evidenziate le potenzialità positive delle valute virtuali in termini di riduzione dei costi di transazione e operativi per i pagamenti; sono stati altresì individuati i principali rischi correlati alle valute virtuali (volatilità, rischio di bolle speculative, incertezza giuridica connessa alle distributed ledger technology, che costituisce il fondamento tecnologico di oltre 600 sistemi di valuta virtuale).
Alla luce dell’analisi svolta, il Parlamento ha dunque invitato la Commissione Europea, nella citata risoluzione:
- ad adottare un approccio normativo proporzionato a livello di UE, in modo da non “soffocare” l’innovazione o aggiungere costi superflui in questa fase iniziale, pur affrontando seriamente i problemi di ordine normativo che potrebbero sorgere con l’uso diffuso delle valute virtuali e della distribuited ledger technology;
- a eseguire una valutazione globale approfondita sulle valute virtuali e, sulla base di tale valutazione, prevedere, se del caso, una revisione della normativa UE in materia di pagamenti, comprese la direttiva sui conti di pagamento, la direttiva sui servizi di pagamento e la direttiva sulla moneta elettronica.
Conclusioni
In definitiva, il tema degli smart contracts e delle valute virtuali sempre più necessiterà di opportune iniziative regolamentari, che possano conferire valore a quell’innovazione tecnologica che ha già iniziato a imporsi nell’ambito del mercato finanziario; occorrerà pertanto prestare attenzione agli sviluppi di tale regolamentazione, anche al fine di intercettare le modalità con cui strutturare opportunità di new business per gli operatori.
Il presente articolo è stato scritto a quattro mani con Damiano Di Maio