Agilità, formazione e purpose: banche alla conquista dei talenti

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«Il compito più difficile è cambiare sé stessi» è una frase celebre di Nelson Mandela. I leader degli istituti finanziari sperimentano, ogni giorno della loro vita, sia la necessità del cambiamento, sia le tante insidie che questo comporta.

D’altronde, non tutti vorrebbero essere nei loro panni.

Le fintech hanno iniziato, già da più di un decennio ormai, a cambiare continuamente le regole del gioco, lanciando nuovi trend che le banche hanno dovuto cogliere, stravolgendo le loro logiche.

Poi, a questo carico si è aggiunto anche quello delle big tech, che soprattutto con l’esplosione dell’embedded finance, la finanza integrata, si sono messe a erogare servizi finanziari.

Ma come affrontare questi grandi cambiamenti? Lo abbiamo chiesto a Francesca Tornaghi, Senior Vice President, Global Industry Lead, Financial Services, Insurance and Consulting di The Adecco Group.

Un cambiamento di percezione

È un circolo vizioso. Da una parte, gli istituti finanziari hanno bisogno di nuovi talenti digitali, quelli che la Generazione Z sta sfornando in abbondanza. Dall’altra parte, non sempre questi vedono nelle banche l’approdo migliore per la loro carriera.

E poi c’è un’aggravante che rende la questione ancora più spinosa: è la stessa generazione che gli istituti finanziari devono attirare per far crescere il bacino dei consumatori.

C’è, tuttavia, una soluzione per attrarre talenti che si chiama employee value proposition. Ovvero, attrarre talenti nella propria rete, con azioni mirate di marketing, offerta di servizi e tanto altro:

«Gli istituti finanziari stanno investendo nella sensibilizzazione per raccontare cosa significa oggi lavorare in banca, che non è evidentemente paragonabile a quello che accadeva nelle organizzazioni vent’anni fa. L’ambiente di lavoro si è evoluto, modernizzato, digitalizzato, dando sempre maggiore importanza a temi quali la diversity & inclusion e la sustainability come parte integrante dei processi interni all’azienda», spiega Tornaghi.

«Non è un caso - prosegue - che i progetti di employee value proposition degli istituti finanziari che seguiamo abbiano come scopo principale quello di cambiare la percezione che i giovani hanno sul lavoro in banca, lavorando, innanzitutto, sui loro pregiudizi».

Essere agili per attrarre talenti

Si sa che le crisi e le minacce sul mercato possono diventare un’occasione di crescita per una persona e, più in generale, per un’organizzazione. Anche perché non c’è solo la finanza integrata e l’ingresso dei big tech a rappresentare uno spauracchio per gli istituti di credito.

Da un lato, infatti, abbiamo l’intelligenza artificiale che automatizza processi, stravolgendo completamente la tipologia di competenze richieste all’interno dell’azienda e rendendo necessari interventi di upskilling, reskilling e accelerando i processi di internal mobility.

Dall’altro, c’è la PSD2, la normativa europea che sdogana l’open banking e spinge gli istituti finanziari a condividere con terzi i dati dei propri clienti, nell’ottica di creare servizi nuovi e migliori per gli utenti (anche qui con il bisogno per i leader dei big del finance di trovare collaborazioni con le fintech che siano remunerative).

Ci sono poi le minacce rappresentate dall’aumento vertiginoso degli attacchi informatici, come emerge dal rapporto Clusit 2021, con i casi in aumento del 12% rispetto all’anno precedente.

E poi ancora i nuovi trend, come il BNPL, ovvero i servizi di intermediazione che ti permettono di comprare adesso e pagare in un secondo momento e a rate. Parliamo di un mercato che secondo Grand View Research è destinato a superare i 20 miliardi di dollari entro il 2028.

Per non parlare dei nuovi mestieri del Metaverso, che potrebbe creare delle situazioni come sportelli virtuali con avatar di impiegati bancari che si incontrano con gli avatar dei clienti.

Insomma, di fronte a questi scenari, la capacità di attrarre talenti, di formarli e soprattutto di trattenerli diventa uno dei principali fattori per non perdere quote di mercato: «La retention è un punto estremamente delicato. I leader delle organizzazioni finanziarie stanno lavorando su diversi fronti. L’aumento del coinvolgimento dei propri collaboratori, l’offerta di benefit, servizi e una formazione continua e sempre più personalizzata. Ma questo non basta», sottolinea Tornaghi.

«Non basta - prosegue - perché le nuove generazioni cercano anche altro, una motivazione, un purpose che è spesso legato a temi di etica e trasparenza, la possibilità di avanzamenti di carriera più rapidi rispetto alle generazioni precedenti e poi la flessibilità nella gestione del loro lavoro e dei tempi, che non può prescindere da un cambiamento nella struttura delle organizzazioni finanziarie».

Organizzazioni che, non solo per scelta, sono diventate meno gerarchiche, con leader che offrono più autonomia e responsabilità ai collaboratori.

E nelle quali stanno rapidamente cambiando anche gli strumenti di misurazione delle performance, sempre più basata sulla trasparenza dei dati.

I dipendenti oggi sono infatti valutati sull’impatto complessivo che hanno sul business, in un approccio più olistico, come conferma uno studio di McKinsey.

Aumentare l’appetito nella formazione

Se la chiave dell’esistenza di un’azienda in un mercato fortemente competitivo è accettare le sfide (parafrasando una celebre frase dell’attrice Bette Davis), i leader delle organizzazioni finanziarie non hanno mai modo di annoiarsi.

Alla necessità di reperire nuove figure sul mercato, si accompagna il bisogno di migliorare le competenze della popolazione aziendale, con attività di reskilling e di upskilling.

Anche qui, nel campo della formazione, rispetto a solo cinque anni fa, gli scenari si sono rapidamente trasformati con l’ingresso di strumenti e professionisti.

Dati e intelligenza artificiale oggi sono impiegati per migliorare i percorsi formativi e customizzarli. Accanto alla realtà virtuale che in alcuni scenari sta contribuendo a creare delle esperienze formative immersive e più efficaci, come spiega uno studio di PWC riportato da Forbes.

«Il coaching è il trend che sta prendendo piede. Un potentissimo strumento per portare valore aggiunto al dipendente, operando cambiamenti comportamentali e accompagnando il professionista nel percorso di trasformazione personale e aziendale. E che stimola in parallelo l’appetito verso una concezione di apprendimento costante e presente nel corso di tutta la carriera», aggiunge Tornaghi.

Sui dati, la manager evidenzia come una buona strategia di data analytics delle competenze dell’azienda consenta di “avere sotto controllo costante l’evoluzione delle skill nell’azienda e, allo stesso tempo, prevedere quelle che saranno le nuove competenze richieste in futuro e così non farsi trovare impreparati”.

Smettere di ragionare per silos

L’opportunità di accrescere il numero di competenze nella propria organizzazione, di attrarre nuovi talenti (che abbiano, in generale, skill digitali e trasversali e una capacità di adattamento fuori dal comune) apre le porte alla costruzione di migliori servizi finanziari e soprattutto al potenziamento del customer service.

Questo è possibile, tuttavia, solo se la leadership affronterà la questione delle competenze nel comparto finanziario con un approccio olistico, senza ragionare per silos.

Approccio che parte dalla psicologia dei candidati, dalla necessità di cambiare la loro percezione e crea infine degli ambienti favorevoli alla crescita dei talenti (avendo il coraggio di rivoluzionare, se necessario, abitudini consolidate da decenni).

Un approccio che, inoltre, mira ad adottare strategie per instillare la cultura del lifelong learning in tutta la popolazione aziendale e che usa i dati per anticipare le richieste di skill sul mercato:

«Come The Adecco Group operiamo già da diversi anni nel finance con un approccio a 360 gradi. Le azioni che abbiamo portato avanti finora e il potenziale che l'organizzazione già possiede sono, senza dubbio, il primo passo per mettere in atto degli interventi significativi, che, tramite il coaching e gli strumenti di upskilling e reskilling, hanno l'obiettivo di lavorare sul DNA dell'azienda, accelerando e facilitando l'inclusività e la trasformazione», conclude Tornaghi.

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