Accelerare il Fintech in Italia: intervista a Carlo Giugovaz di SuperNovae Labs

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In dieci parole che cosa fa SuperNovae Labs?

SuperNovae Labs è il primo acceleratore fintech per banche e assicurazioni in Italia e nasce con l'intento di contribuire al processo di rilancio del settore creando un ponte tra il sistema finanziario, creditizio e assicurativo e le soluzioni innovative offerte da startup e imprese digitali italiane ed europee. 

Cosa pensate di fare con il vostro acceleratore?

L'obiettivo è di creare valore offrendo le nostre competenze e il nostro network per favorire l'incontro tra domanda e offerta di innovazione. In altre parole, rendere concreti i vantaggi dei servizi e prodotti innovativi portati dalle fintech grazie all'open innovation ed "evangelizzare" le strutture di banche e assicurazioni. L'idea di fondo è di diventare il punto di riferimento nella ricerca ed applicazioni di soluzioni di open innovation nel mondo bancario ed assicurativo.

In che cosa siete diversi da altri acceleratori?

Nei confronti delle fintech e delle imprese digitali, Supernovae Labs è un partner che aiuta le startup nella fase più critica: l'accesso commerciale al mercato bancario e assicurativo, aumentando così in misura significativa le possibilità di successo. Supernovae Labs può inoltre offrire alle startup la possibilità di personalizzare le proprie soluzioni per la specifica azienda bancaria e assicurativa sia italiana che europea, e accompagnarle nella ricerca degli investimenti necessari per sviluppare prodotti e piattaforme. 

Siete nati circa un anno fa, quali risultati avete raggiunto?

Siamo nati formalmente a maggio 2016, ma siamo diventati operativi gradualmente mettendo meglio a punto la nostra value proposition direttamente sul campo nell'interazione tra fintech e aziende bancarie e assicurative. In questo momento stiamo operando con oltre venti startup fintech e digital e un'altra decina sono in arrivo. Sul lato banche stiamo iniziando a lavorare su diversi progetti pilota con otto gruppi in Italia e tre all'estero. Pur avendo avuto pochi mesi per lanciare sul mercato la nostra startup, il bilancio 2016 si è già  chiuso in utile. 

Obiettivi 2017 e obiettivi 2018?

Ci siamo posti due importanti obiettivi per il biennio. Da una parte ampliare il portafoglio delle fintech che si affidano a noi per approdare al mercato delle aziende bancarie e assicurative. Il fintech è infatti composto da circa 80 sotto-settori e il nostro obiettivo è di coprirne almeno la metà con una startup dedicata ad ognuno di essi. Il secondo obiettivo è di promuovere  e accompagnare processi di open innovation nelle banche e assicurazioni aiutandole ad accelerare i cambiamenti necessari e a costruire nuovi modelli di business proprio in forza della possibilità di proporre soluzioni a 360 gradi.

Come sta andando il vostro case study con Deus Technology?

Con Deus Technology la collaborazione ha già prodotto apprezzabili risultati di marketing in particolare con la messa a punto del servizio, del pricing e delle strategie di comunicazione; sul fronte commerciale ci sono diverse opportunità aperte in fase di chiusura. Purtroppo, e questo vale per tante realtà sia italiane che estere, i tempi decisionali delle banche sono lunghi, in quanto le scelte da compiere come nel caso del roboadvice sono veramente tante (segmento di riferimento, prodotti da offrire, pricing, modello di servizio al cliente, inserimento di chatbot, ecc.) e richiedono il coinvolgimento di almeno cinque o sei diverse strutture della banca. 

Cosa pensi del settore fintech in Italia?

Il settore in Italia è ancora piuttosto piccolo e c'è molto da fare, forse anche per una questione anagrafica. Secondo EFMA in Europa ci sono oltre 10.000 startup fintech, mentre in Italia sono solo 187 e molte sono repliche di altre startup internazionali. Da qui l'immensa opportunità di investire in Italia in quanto non mancano né i talenti, né le idee e né le risorse finanziarie. Quello che manca è la capacità di "catalizzare" gli elementi esistenti per creare una "reazione a catena" alimentata da casi di successo, sia lato startup che lato imprese finanziarie. 

Come lo vedi rispetto al resto d'Europa?

Rispetto al Regno Unito oggi c'è un abisso sia in termini di normativa, risorse finanziarie e concentrazione di talenti. Per dare un'idea dei rapporti di forza fra Londra e Milano possiamo prendere due dati: la recente ricerca Deloitte sui Fintech Hub mondiali 2016, dove il punteggio di Londra rispetto a Milano sui principali indicatori di qualità è di 11 a 125 (12 volte inferiore) e quello dei capitali investiti nel 2016 dai fondi di venture capital che hanno raggiunto oltremanica i 784 milioni di Euro contro i 9 milioni di Euro dell'Italia (quasi 90 volte inferiore). Gli altri paesi che spingono sull'innovazione finanziaria (Germania, Paesi Scandinavi, Francia e Spagna) sono in una posizione intermedia fra Italia e Regno Unito. Purtroppo ho visto tantissimi bravi "startuppari" emigrare a Londra o all'estero per poter realizzare le proprie idee. 

Quali sono le principali difficoltà per chi fa fintech in Italia?

Partiamo dal fatto che il 2016 ha rappresentato l'anno di svolta per il settore. È stato l'anno in cui è stata superata la diffidenza iniziale da parte di investitori e della comunità finanziaria verso le fintech, sopratutto in fase di start-up. Tuttavia ancora oggi le fintech e le startup digitali italiane hanno difficoltà ad approcciare il business bancario. Nel B2C le ragioni sono molteplici: la limitata scala dimensionale delle iniziative e del nostro paese, la ridotta conoscenza della complessa normativa ed infine la scarsità di adeguati finanziamenti. Il tutto si traduce in una difficoltà a formulare una value proposition realmente attrattiva e differenziante, sopratutto per le  fintech che si affacciano per la prima volta a questo mercato e non sono fondate da aziende preesistenti o founder con grande esperienza. Nel B2B la situazione è migliore in quanto è mediata dalla presenza delle banche ed assicurazioni e dal fatto che già dal 2015 sono entrati nel mercato alcuni professionisti (ex consulenti e dirigenti bancari) di grandissima caratura ed esperienza. Le possibilità che queste iniziative possano diventare dei casi di successo europeo sono molto elevate. 

Cosa pensate della PSD2?

Cominciamo a dire che la PSD2 è una innovazione strutturale che non ha uguali fuori dall'Europa. È una grandissima scommessa della UE nel settore digitale e si basa sull'osservazione del ritardo competitivo dell'Europa rispetto a USA e Cina. L'idea innovativa è che i "dati" sono il futuro "petrolio" dell'economia e che lasciarne il monopolio alle banche o altre imprese è un modo per perdere un'eccezionale opportunità di crescita. Per le banche sarà un terremoto, sopratutto se non si attrezzeranno a fornire un adeguato servizio ai clienti più digitali prima che lo facciano le fintech o altri operatori. Le opportunità di business per le fintech sono altrettanto enormi per le potenzialità offerte dalla tecnologia e dalle regolamentazioni. In sintesi è un'opportunità da tanti punti di vista, che va ben gestita sia per i challenger sia per gli incumbent.    

Cosa manca di più in Italia per far crescere il fintech? Capitali, idee, capacità di execution, il rapporto startup-impresa, l'ecosistema?

Come accennato, in Italia i capitali non mancano. Ad esempio, se prendiamo la liquidità presente sui conti di imprese ed imprenditori, nel nostro Paese sono potenzialmente disponibili circa 150 miliardi di euro. Se solo una piccola parte di essi, ad esempio gli interessi (valutabili fra 1 e 2 miliardi di euro) venisse destinata a finanziare l'innovazione e le startup del settore fintech, si potrebbe generare un significativo balzo in avanti della competitività a medio-lungo termine dell'Italia. Purtroppo alla scarsa conoscenza del settore ed i limitati capitali pubblici a sostegno dell'innovazione fintech, si aggiunge un terzo elemento che rende più difficile lo sviluppo delle fintech italiane e la maturazione di nuove soluzioni su base tecnologica, ovvero la debolezza dell'ecosistema digitale. Milano, ad oggi l'unica realtà nel nostro Paese in grado di competere sull'innovazione a livello internazionale, si colloca in una fascia media, ben distante, in Europa, dalla posizione di Londra (prima al mondo assieme a Singapore), di Parigi e Berlino. L'insoddisfacente posizionamento non è dato dalla disponibilità di know how e di talenti e nemmeno dalla presenza o meno di un network solido, quanto piuttosto da due variabili fortemente deficitarie: l'apertura delle autorità regolative verso il concetto di "sandbox" e la disponibilità di investitori "competenti" che fungano da catalizzatori di risorse finanziarie sia di debito che di rischio. Gli attori impegnati nell'innovazione del nostro Paese e del nostro sistema bancario e assicurativo hanno dunque una sfida robusta da affrontare, ma anche tante opportunità da cogliere e da coltivare, in un'impresa di sistema perché la strada da percorrere è lunga, ma ancora aperta.

Cosa si aspettano i clienti italiani dall'innovazione?

Guardando al 2020, i clienti delle nostre banche si aspetteranno che il proprio fornitore di servizi finanziari (la propria banca) si faccia carico di offrire servizi digitali che migliorino il servizio e riducano i costi. Questo perché gli italiani hanno fiducia nel sistema "bancario" nel suo insieme e hanno l'aspettativa di un'adeguata protezione dei propri risparmi da parte del settore Pubblico. Non è dappertutto così. Infatti mentre in Italia e in occidente, i consumatori si rivolgono ancora molto poco in via diretta alle fintech, nel mercato asiatico, in particolare in quello cinese e indiano, la preferenza va a larga maggioranza verso gli operatori non tradizionali che hanno superato di gran lunga le banche nell'offerta dei pagamenti e delle rimesse. La ragione di questo successo, si prenda ad esempio Wechat, si spiega con l'alto livello di integrazione fra i servizi bancari innovativi e quelli di e-commerce, l'estrema facilità di utilizzo dalle applicazioni social ed infine i costi più contenuti. Tenuto conto che la Cina rappresenta da sola quasi il 50% dell'e-commerce mondiale, e del recente sbarco di Alipay sul mercato italiano, ci sono tutte le premesse per sconvolgere gli equilibri del mercato del nostro Paese! La sfida delle fintech asiatiche alle banche italiane sarà quella di proporre con successo il proprio modello di business "cross-sector" facendo leva inizialmente sui flussi turistici dei cinesi in Italia, per poi trovare dei modelli di collaborazione scalabili su base locale. In questo scenario un potenziale limite all'espansione asiatica in Italia e più in generale in occidente è data dalla differente sensibilità dei consumatori rispetto ai temi della sicurezza e della privacy. L'aspettativa degli italiani è di usufruire di soluzioni digitali che, pur consentendo un'ottima customer experience, pagamenti in modalità mobile e una adeguata personalizzazione, garantiscano un eccellente livello di sicurezza informatica.





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